È accaduto in aula bunker
di Gabriella Tittonel
Martina oggi è giunta, in braccio a mamma e nonna, in un luogo davvero altro, nell’aula bunker delle Vallette. A Torino. Piccina, poco più di due spanne di tenerezza su cui brillavano due occhi spalancati su un mondo diverso, fatto di lunghi tavoli, di transenne. Di sbarre.
Martina davanti alle sbarre ci è arrivata. In braccio a mamma. Per salutare la zia Chiara, per assaggiarne le carezze attraverso sbarre troppo strette per far passare abbracci. Di zia Chiara, Martina ancora non conosce il tiepido calore delle braccia intorno e neppure il battito del cuore di quando il capo s’appoggia sul seno e rinfrancato lascia che gli occhi scivolino nel sonno.
Di fronte a questa parentesi d’intimità vissuta da tutti, accolta nel silenzio e nella commozione, ancora più evidente è stata l’immensa distanza fra come oggi viene “costruita” la vita detentiva (in questo caso, tra l’altro, preventiva) e quella che dovrebbe essere. Vita che dovrebbe offrire concrete possibilità di crescita. Nella giustizia e nel rispetto anche dei legami affettivi.
Tra dichiarazioni, fascicoli, interventi e tanto altro ancora, oggi Martina ha fatto la differenza. Per chi ha voluto vederla. Ha lanciato un messaggio da un futuro possibile.
E se la sua piccola presenza ha lasciato un segno nella spoglia grande aula ferrata un altro piccolo gesto, fatto con umanità, partecipazione, rispetto, ancora attraverso le sbarre, è stato quello del saluto di un avvocato, il Novaro, ai quattro ragazzi. Un piccolo gesto per ristabilire umanità in un mondo troppo spesso consegnato a separazioni, pregiudizi, congetture. Mondo fatto di muri. Muri di cuore ancor prima che di cervello…
G.T. 05.06.14