Di ScateniamoTempeste
Cara amica,
cosa funziona e cosa non funziona? Non funziona il fatto che non riesco più a scrivere e non riesco più a scrivere perché non riesco più a pensare, o forse non sono mai riuscita a “pensare”, nel senso del riflettere, e questa scrittura così di getto, una volta riletta mi nausea, mi sembra banale ed egocentrica. Non funziona che vorrei essere altrove e sono qui. Non funziona che, se anche fossi altrove, forse non starei bene lo stesso.
Non so tu, ma io mi sento come in una bolla di sapone a guardare il mondo, dove non voglio entrare di peso, per non restare troppo ferita dalla realtà. Seleziono cautamente le persone con cui discutere, con cui uscire, con cui fare l’amore. Oramai è un attento rituale, che si ripete da tempo, perché vivo molto male l’aggressività del quotidiano, così come mi turba e mi disgusta quel cartellone pubblicitario – per molti normale, seduttivo o simpatico – che pubblicizza una palestra, usando un fondoschiena femminile gigante, che mi saluta ogni mattina mentre vado a lavoro, mentre le Camere approvano una legge sul femminicidio, che in realtà è una legge repressiva contro i No Tav. La la gente dice che è cosa bella perché non ne conosce il contenuto e sfido chiunque di voi a dire di essere per il femminicidio (o la mafia o la fame nel mondo…). Leggi fatte su misura per ingannarci. E donne merce ovunque, al chilo, all’etto al grammo. Eppure sembra che al mondo vada bene così e che, se non vuoi essere merce e non vuoi essere vittima, la responsabilità è tutta tua, perché la società ti dà delle opportunità, e devi farti una carriera ed essere attiva cittadina del mondo, denunciare… Chissà cosa penserebbe chi non ce l’ha fatta e il cui tempo è stato inghiottito nel Mediterraneo per sempre… Chissà se il loro è stato un triste destino o la solita tragedia annunciata, che non dà scampo né agli intelligenti né agli stupidi né ai volenterosi né agli indolenti nè a chi collabora nè a chi si ribella.
Succede infatti anche che le migranti e i migranti muoiono al largo di Lampedusa, si piange per finta tutti una settimana, poi ci si dimentica, come ci si dimentica di tutto… Il tempo del lutto finisce presto, restano i morti senza nome e senza spiegazione ma la “civiltà” va oltre e pochi ritengono di doversi dare almeno delle risposte – o per lo meno farsi delle domande – sul perché quelli di là del mare vengono di qui e sul come e sulle responsabilità di tutti. La convinzione poi che non ci possiamo fare niente e che ci sono poteri più forti di noi ci rende incapaci di agire e questo silenzio è solo un tantino meno fastidioso del pianto finto dei nostri politici qualche giorno fa.
Mi domando cosa direbbero i miei studenti e le mie studentesse i cui genitori hanno affrontato – per fortuna senza lasciarci le penne – un tratto di mare su un barcone, per venire qui, ma sono domande troppo intime e non oso porle. Magari, con il tempo, visto il biancore della loro pelle, hanno deciso di mimetizzarsi del tutto e cancellare, laddove possibile, le tracce dell’Albania, della Serbia, del Montenegro… per evitare di essere presi di mira dalle battute e dai gesti razzisti. Magari invece non è così e si sentono fieri della loro storia e della loro molteplice identità… il fatto è che questo è un mondo in cui, per essere accettato, devi parlare tanto, ma magari non dire molto, non fare uscire i sentimenti, le emozioni, gli stati d’animo. Mimetizzarsi è meglio che apparire strano, sgraziato, brutto od ostile.
Il fatto è che mentre affondi, c’è sempre qualcuno pronto a tenerti sotto la testa e poi a piangere le lacrime di coccodrillo. Tipo quando perdi il lavoro, non paghi il mutuo e ti tolgono la casa. Se ti ammazzi, allora ti piangono e dicono che, poveretta, eri disperata e che la società è ingiusta. Se invece, per stare a galla, fai ciò che è considerato illecito, allora ti mettono dentro e vieni stigmatizzato a vita… E, allo stesso modo, se anneghi nel Mediterraneo, sei un poveretto o una poveretta, se approdi su terra sei un clandestino o una clandestina. Se vendi la tua voglia di vivere a una multinazionale sei una lavoratrice, se vendi il tuo corpo, una puttana che delinque. Se ti prendi un cancro a Taranto sei una vittima, se protesti per un mondo più giusto sei un pericoloso sovversivo. Se distruggi senza alcuna utilità un intero territorio, sei uno che guarda lontano al futuro del paese, se manifesti in Val Susa una terrorista. Se sei una vittima ti dedicano pagine e pagine sui rotocalchi, se dici che la polizia stupra nei Cie, sei un pericolo per la democrazia.
E di fronte a questa raffica di cose che non funzionano, bugie dette male ma accolte da molti bene, non so più dirti cosa davvero possa funzionare. Cosa possa non essere strumentalizzato e cosa non sia parola al vento.
Io mi domando anche come devo pormi nei cento ruoli che devo recitare ogni giorno: se si parla dei funerali di Priebke, dei calci e dei lanci di oggetti sul carro funebre da parte degli antifascisti, io so da che parte stare. Non mi incanta chi dice che il decoro è doveroso ad un funerale. Condivido la rabbia e ricordo la storia. Non è “decoroso” ma è la parte sana di una società di smemorati e per fortuna c’è ancora chi protesta e non si omologa. “Reazione eccessiva”, mi sento dire da un collega. Provo a rispondere interloquendo con un “ma…” e mi rendo conto che per articolare un parere di senso compiuto mi servono almeno 60 secondi… mentre vengo aggredita subito, che non c’è giustificazione. Me ne vado. Salvo la mia testa e il mio corpo da una “reazione eccessiva”. Lo salvo per il ruolo che sono tenuta a ricoprire, per non degenerare e passare per pazza. Sento ogni giorno miriadi di opinioni razziste, sessiste, omofobe in ambienti dove si dovrebbe lavorare per eliminare i pregiudizi… e vorrei reagire a tutte. A volte non riesco. Dovrei essere del tutto indomita e fregarmene delle opinioni altrui nei miei confronti. A volte provo a sforzarmi di pensare che il mondo è bello perché è vario. Ma non ne sono per niente convinta: la varietà di queste persone vuole essere omologazione a un modello vincente, aggressivo, che desertifica le varietà, annienta le diversità e etichetta ogni forma di pensiero o comportamento difforme come violento, anormale, da punire.
Per questo contino ad amare la mia bolla di sapone, ad andare avanti e, per quel poco che riesco, a scrivere…