Anche un sospiro può essere un urlo.

MARTEDI 1 OTTOBRE alle ore 18.00 nello spazio sociale occupato Ex51-via Bacciarini 12(metro A-Valle Aurelia)-Roma

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Il 26 luglio del 1956 Nasser annunciò la nazionalizzazione del canale di Suez. In risposta Israele il 29 ottobre occupò la striscia di Gaza e la penisola del Sinai. Il 31 ottobre gli Inglesi e i Francesi bombardarono Il Cairo e il 5 novembre occuparono Port Said.

Nasser affondò le 40 navi presenti nel canale di Suez per impedirne la navigazione.

Secondo una lettura che oggi serpeggia a sinistra , le manifestazioni fatte, a suo tempo, a sostegno dell’Egitto e di Nasser sarebbero state improvvide e sbagliate perché avremmo dovuto dire né con Nasser, né con gli Israeliani, Francesi e Inglesi.

E, sempre secondo questa lettura, capziosa e pretestuosa, Nasser non era socialista, tanto meno comunista e, pertanto, non avremmo dovuto essere dalla sua parte.

E’ una posizione che sostiene che la solidarietà internazionalista, e la mobilitazione contro la guerra, non è efficace in se stessa: il vero modo per esprimere solidarietà ad un popolo aggredito è quello di lottare contro il capitalismo all’interno di casa propria.

Nessuna/o si sognerebbe mai di negare che un movimento di classe, di massa e organizzato è l’arma più potente, che si tratti di combattere lo sfruttamento padronale domestico o l’avanzare dell’egemonia statunitense; ma è pur vero che allo stato dell’arte questa forza organizzata non esiste né in Italia, né in altri paesi della filiera occidentale.

E allora? il destino degli antimperialisti/e, e quindi anche degli anticapitalisti/e, è relegato alla funzione di testimoni dell’avanzata della barbarie?

Noi crediamo, invece, che sia utile e doveroso esprimersi e che sia necessario farlo collettivamente.

Vogliamo cercare di rendergli l’attacco almeno un pochino più complicato?

Oppure lasciamo che i governi occidentali non abbiamo da preoccuparsi neanche di creare consenso intorno all’ennesima “guerra santa”?

Davvero non abbiamo imparato niente di quello che è successo dal ’91 ad oggi?

Davvero è così complicato prendere posizione, oppure  lo schema è sempre lo stesso e gli interessi anche?

Come è possibile cadere dalle nuvole e denunciare scandalizzati/e l’inadeguatezza dell’ONU come argine all’uso della forza militare nelle controversie internazionali?

Forse perché la Storia recente non l’abbiamo interrogata nel modo giusto…abbandonando troppo presto delle categorie di lettura giudicate superate. C’è qualcuno/a, ad esempio, che sostiene che non si debba più parlare di imperialismo ma di imperialismi…sostengono infatti che, trovandoci alla porte di un futuro multipolare in cui l’America è in totale declino e non esistono paesi socialisti, il problema oggi è rappresentato dai conflitti tra imperialismi diversi: ad esempio paesi BRICS contro USA-UE. Noi siamo distanti da questa impostazione e potremmo sintetizzare ricordando il discorso del Che all’ONU che al riguardo usava sempre questa espressione: “l’Imperialismo, soprattutto quello nord americano…”  proprio a sottolineare che l’imperialismo è un fenomeno unico e necessariamente legato allo sviluppo del capitale. La teoria degli opposti imperialismi è come quella degli opposti estremismi: è una mistificazione.
Come nota positiva bisogna dire che almeno, rispetto a quanto accadde per la Libia, non si sentono cori di  compagn* (ma qualcuno ahimè ancora si) invocare l’intervento armato occidentale in Siria…ma purtroppo, per quanto ci riguarda, è un passetto un po’ troppo corto.

Non basta dire “sono contro l’ingerenza militare esterna in Siria”. Abbiamo sentito troppe volte facili sintesi ,tutte tese poi, in fin dei conti, a lavarsi le mani e continuare a vivere tranquille/i nella nostra realtà pervasa da un’informazione intossicata , del tipo “Assad è un taglia gole”, ma con ancora più frequenza e tristezza abbiamo ascoltato la litania “la situazione è complicata. .non è possibile prendere una posizione senza rimanere schiacciate/i dalla logica degli schieramenti”….

Non prendere posizione, non compiere una scelta, significa in realtà accettare la logica del più forte, la logica dell’arroganza, della prevaricazione e dell’aggressione. E noi donne sappiamo fin troppo bene come funziona questo meccanismo.

Sappiamo bene cosa significa confondere aggredita ed aggressore quando veniamo messe sullo stesso piano di chi ci avvilisce, ci umilia e ci opprime perché, ci dicono, anche lei avrà avuto le sue colpe, perché, tutto sommato, se l’è cercata….

La nostra pratica femminista ci ha insegnato a partire da noi e noi abbiamo fin troppo chiaro che la strumentalizzazione che viene fatta della violenza sulle donne ,qui, per introdurre leggi securitarie, per tenerci vincolate in una dipendenza protettiva/coercitiva è la stessa che viene applicata ai popoli del terzo mondo con la strumentalizzazione dei “diritti umani violati”, della violenza sulle diversità, con la santificazione delle nostre così dette “democrazie” per poter attuare la politica neocoloniale che è parte strutturante dell’ideologia neoliberista.

Non serve comprendere nel particolare le dinamiche tra ogni gruppo politico che si muove in medio-oriente e tra gli schieramenti incrociati per capire che la destabilizzazione di quell’area è un progetto Usa&Co che affonda le radici parecchio indietro nel tempo.
Crediamo fermamente che nessuna situazione storica, soprattutto per chi alla Storia vuol partecipare e non solo subirla, sia troppo complicata per essere affrontata o, se proprio ci si sente in difficoltà, almeno guardata, osservata, assunta su di sé.

Alla fine è solo questo che si chiede a chi si professa antagonista : non cadere vittima della propaganda mediatica, resistere all’imbarbarimento intellettuale e culturale.

La Storia serve a prendere posizione, e la Cultura è la volontà storicizzata.
Allo stesso modo crediamo fermamente che i fervidi sostenitori del né- né ,né con Assad, né con gli Usa ( quelle/i che sono  in buona fede naturalmente, perché le altre/i sono invece partecipi del progetto neoliberista),  siano semplicemente alla ricerca dell’assoluta purezza intellettuale: coltivano, ma solo a livello intimista, un’idea di comunità politica talmente perfetta e alta da non potersi immischiare con la realtà storica.

Crediamo, inoltre, che la presunzione di essere super partes, ma sarebbe meglio dire l’indifferenza, sia una diretta conseguenza del sentimento di estraneità alle vicende, il che è a sua volta conseguenza di una grossa miopia politica: non vi sono eventi estranei, ciò che accade all’esterno dei confini nazionali è legato a doppio filo a ciò che si svolge dentro i confini. Stiamo al paradosso per cui i capitali monopolistici fanno dell’internazionalismo una realtà considerando ormai le barriere nazionali le uniche da abbattere, mentre noi non siamo capaci di sentirci legate/i al destino dei popoli oppressi. La logica dell’equidistanza appartiene al privilegio e riduce i/le compagn* del Nord del mondo a semplici croniste/i…come diciamo sempre la Storia non è neutra ma è di parte e noi tutt* non abbiamo forse  il dovere di narrare il nostro tempo, non come imperativo morale, ma come quella riappropriazione della vita che è fondante per noi nel percorso di femministe e di compagne? per come stiamo messe/i prendere parola non solo è necessario, ma è anche sufficiente come punto di ripartenza.

Sono giorni di grande tristezza: il silenzio è assordante…ma forse potremmo partire pensando che nel grande silenzio anche un sospiro può essere un urlo!

Vi aspettiamo TUTTE/I per discutere e confrontarci

martedì 1 ottobre alle ore 18.00 nello spazio sociale occupato Ex51-via Bacciarini 12(metro A-Valle Aurelia)-Roma

e, per riprenderci un po’, ci sarà anche l’aperitivo

Le coordinamente

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