Purun

da “Il sociale è il privato” di Elisabetta Teghil
del 06/11/2011

Purun

“A Rossana,amica,femminista,compagna, mapuche.”
Oggi, 6 novembre, ci sarà il Guillatun, cerimonia tradizionale del popolo mapuche.
Anche quest’anno sarà in ricordo di Alex Lemun, un indio di diciassette anni, ucciso nel 2002 da un “carabinero”.
La cerimonia sarà guidata dalla “Machi”, guida spirituale e religiosa della comunità.
Si saluteranno i quattro punti cardinali, poi si inizierà il Purun, la danza circolare.
Sempre guidato dalla Machi, si innalzerà il canto del popolo mapuche rivolto agli spiriti. Un canto che le autorità cilene vogliono imbavagliare e soffocare.
Il Cile è uno dei pochi paesi sudamericani a non aver ratificato il trattato internazionale sui diritti dei popoli indigeni.
Gli statunitensi dicevano a proposito dei nativi e delle nativenordamericani/e : “l’unico indiano buono è quello morto”.
A Santiago si dice, a proposito della politica nei confronti dei/delle Mapuche: …con le buone o con le cattive.” 
I/le Mapuche, emarginati/e, impoveriti/e, da popolo autonomo, indipendente e sovrano sono diventati/e una minoranza etnica oppressa. L’unico momento di luce nella loro tribolata esistenza è stata la riforma agraria adottata dall’ Unità Popolare di Salvador Allende. 
Con la dittatura del generale Pinochet (1973/1989), si è ripresa la strada dell’oppressione che è continuata fino ai nostri giorni, attuata, senza soluzione di continuità, dai governi  che si sono succeduti.
La terra è stata loro completamente espropriata, le foreste, cantate da Pablo Neruda, hanno lasciato il posto alle piantagioni intensive. I pozzi si sono prosciugati, l’aria è stata inquinata, gli animali, soggetti a continue epidemie, sono quasi completamente scomparsi.
I/le Mapuche sono stati costretti/e a emigrare verso le periferie delle città.
Oggi, la maggior parte di loro è urbanizzata e, in città, le donne possono aspirare solo a diventare domestiche e gli uomini, a condizione di “cilenizzare” il proprio cognome, possono ottenere  i lavori più umili.
La discriminazione è istituzionalizzata.
Ma, pur fra mille difficoltà, il popolo Mapuche, a iniziare dai primi anni ’90, sta ritrovando le proprie radici e il proprio orgoglio.
Loro, la chiamano la “riconquista”.
La risposta dello Stato è stata repressiva, violenta e brutale. Centinaia di mapuche languono nelle prigioni, condannati/e a pene detentive lunghissime, dieci/venti anni, altrettanti/e vivono nella clandestinità, protetti/e dalle comunità.
La percentuale di donne è uguale, e forse superiore, a quella degli uomini. 
Il grimaldello che lo Stato usa per poter attuare questa repressione violenta, è la definizione di “terroristi” con cui vengono etichettati/e i/le Mapuche non omologati/e, riottosi/e, ribelli.
Un caso esemplare. 
Patricia Troncoso, 41 anni, ex studentessa in teologia, con i nonni emigrati a Santiago, alla fine degli anni ’90, è tornata a vivere nella comunità di origine.
Ha fatto qualche cosa di male?
Lei stessa dice “…questa lotta è politica, il suo obiettivo è l’esistenza o la scomparsa del popolo Mapuche.”
Che cosa ha fatto di concreto?
Volantinaggi, assemblee, attacchinaggi, occupazioni di terre mapuche espropriate dallo Stato.
Risultato? dieci anni di carcere. Insieme alle sue compagne, rivendica lo status di prigioniera politica. 
Ma la repressione non riguarda solo i/le Mapuche, ma anche quelli/e che si sono schierati/e dalla loro parte.
E’ il caso di Miriam Reyes Garcia, l’avvocata di Patricia. Anche lei incriminata.
L’ultima frontiera è lo spostamento dello stigma della persecuzione, da “terroristi” a “delinquenti comuni”.
Ma perchè tanto accanimento contro un popolo mite e civile? perchè ha la sfortuna di vivere in un territorio ricco di risorse naturali, oggetto di uno sfruttamento sfrenato.
Dopo il rame, l’esportazione di legname rappresenta la seconda entrata del paese.
Rivendicando i loro diritti, i/le Mapuche finiscono per “intralciare” lo sfruttamento insensato delle risorse naturali.
Patricia, al termine del processo che l’ha vista condannata, ha detto “…dieci anni di prigione mi fanno paura; ormai ho perso tutte le speranze di avere un figlio. L’unica cosa  che mi da’ coraggio è la forza di battermi per il rispetto dei diritti del mio popolo”.
Sappiamo che la sfortuna dei Mapuche è di vivere in un territorio ricco e appetito e di essere di intralcio alla logica dissennata del profitto. Ma sappiamo anche perchè sulla loro condizione c’è tanto silenzio. I governi cileni sono allineati all’occidente e permettono lo sfruttamento delle risorse da parte delle multinazionali.
Se così non fosse, allora il problema della “minoranza Mapuche” verrebbe alla ribalta e americani ed europei, strumentalmente e con secondo fine, si “preoccuperebbero tanto” dei loro diritti civili.
Due volte sfortunato, quindi, questo popolo: vive in un posto ricco di risorse e sta in un paese i cui governi sono allineati agli interessi statunitensi e delle multinazionali.
Quindi la sua sorte non interessa a nessuno/a?
E, invece, i cerchi si rincorrono:  le donne NOTAV ci dicono che contro l’arroganza, la prepotenza, l’ occupazione della loro terra, guidate dalle masche antenate, fanno in Clarea un cerchio di “auspici e malefici”.
Noi siamo dalla loro parte e dalla parte del popolo Mapuche e di tutte/i quelle/i che si battono per la loro libertà perchè è, necessariamente, anche la nostra.

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