Proviamo in questi momenti tanta speranza quanta, altrettanta, amarezza. Speranza perché se avessimo voluto immaginare una sentenza debole e carente non avremmo potuto arrivare a tanto. La sentenza riconosce il pestaggio ma lo attribuisce ai carabinieri con tanto di movente.
Quella mattina Stefano è stato oltre tre ore in attesa di essere giudicato. La Corte dice che si lamentava per la mancanza del rivotril, o del metadone. Ma non per la dolorosissima frattura al sacro o per le lesioni al viso, alla testa, e su tutto il corpo.
La Corte sostiene che le aveva già ma, stranamente, Stefano inizia a lamentarsi solo dopo l’udienza di convalida. Si vede che prima non si era accorto di avere la schiena rotta.
La Corte omette di prendere in considerazione temi sui quali il processo si è a lungo soffermato e dice di fidarsi dei Periti senza usare un solo argomento scientifico per superare le numerose critiche loro rivolte da tutti i consulenti delle parti.
È una dichiarazione di fede. Di principio.
La Corte dice che lo hanno picchiato i carabinieri. Ma il sangue trovato sui pantaloni ha data certa, era fresco. Ma la Corte si dimentica comunque di restituire gli atti alla procura per procedere contro di loro. Così la prescrizione avanza.
La Corte demolisce la Procura di Roma sul pestaggio affermandolo a dispetto di arbarello e c. La Corte demolisce la procura attribuendo il pestaggio ai CC e non agli agenti. La Corte demolisce la Procura smantellando ogni idea di complotto.
La Corte demolisce la Procura affermando gravi carenze di indagini come per esempio il non aver consentito a Samura Yaya di effettuare una ricognizione formale davanti ai tre imputati.
La Corte demolisce la Procura smantellando ogni idea di omicidio come conseguenza del grave reato di abbandono di incapace.
Si è trattato, insomma di una banalissima colpa medica. Questa è la nostra grande amarezza. Tre anni di processo spesi per questo.
Siamo indignati.
Non molleremo andremo avanti.
Ilaria Cucchi