“Non capisco che rivoluzione è: una rivoluzione dovrebbe essere qualcosa di bello, positivo, che porta un miglioramento, ma questi rivoluzionari hanno ucciso! Una rivoluzione dovrebbe essere una cosa che migliora la vita della gente, questi sparavano, uccidevano i preti e i nobili. Che rivoluzione è? Perché lei ha detto che ci appartiene e fonda il nostro modo di pensare?”.
La lezione è sulla Rivoluzione francese e Martina ha 12 anni e obietta ciò alla mia spiegazione. Il rifiuto della violenza. Meglio farsi opprimere dallo sfruttamento dei nobili, dalle gabelle e dal moralismo della Chiesa piuttosto che essere libere e liberi, usando la violenza. Hai voglia a spiegarle che il popolo francese era oppresso e ridotto alla fame, che la società si basava sul diritto di sangue, che il popolo era suddito e non cittadino, che le violenze erano state fino a quel punto compiute solo dall’alto in basso. Non c’è idea di rivalsa, non c’è aspirazione alla libertà, non c’è voglia di essere protagonisti, per Martina, che valga un atto violento!
Qualche anno fa, nessuna studentessa mi avrebbe risposto così: la Rivoluzione francese destava interesse, perché i ragazzi si immedesimavano nel popolo oppresso che si libera e la questione della violenza passava in secondo piano.
Eppure la vittoria della non-violenza, borghese e di una certa sinistra, laica, ma che strizza l’occhio al cattolicesimo, ha fatto anche questo.
Ribelle può essere un modo di vestire, di parlare, di atteggiarsi, ma tutto qui. Ribelle è bello. Se fine a se stesso. Se non cambia nulla. Se non altera gli equilibri. Ribelle è bello se non lo è davvero.
E allora, cara Martina, come te la posso spiegare io la Rivoluzione francese, se a ogni angolo della strada, in ogni aula della scuola, appena accendi la tv, ti fanno il lavaggio del cervello sulla “non-violenza”? Cosa ti dico? Che c’è una violenza “buona”, che è quella degli oppressi?
Ti dico che la violenza del popolo francese nel 1789 è stata reazione a soprusi durati secoli. Che la reazione, spesso, non può essere pacifica. Che per vincere non sempre si possono mettere i fiori nei cannoni. Che l’ingiustizia è che ti venga insegnato ad essere docile come un agnellino, mentre il lupo ti ruba il futuro? Ma come te le dico queste cose da insegnante?
E soprattutto, perché tu, che sei figlia di un operaio, ti identifichi nel nobile e non nel popolo oppresso? Forse perché da piccola ti hanno insegnato che c’è la figlia del marocchino, del senegalese, del peruviano, che è più povera e più oppressa di te, e temi possa avere lei la reazione alla violenza che la nostra società le infligge.
Io, Martina, queste cose non te le posso dire tanto esplicitamente, perché è troppo difficile essere un’insegnante coraggiosa. Te le faccio capire “storicamente”. Quella del popolo oppresso che si ribella ai privilegi dei nobili è storia della nascita di una società che si proponeva di essere più giusta (poi vince la borghesia, che opprime i proletari e i continua a sfruttare i contadini, è vero, ma la forza rivoluzionaria non è solo quella borghese); la messa in discussione dei valori della Chiesa (con la censura, la sacra inquisizione, l’indice dei libri, le decime, il controllo sui corpi) era la volontà di affermarsi come uomini raziocinanti contro l’austerità dei secoli passati…
Ma io non so se sono in grado di farti capire queste cose e soprattutto di farti capire che anche questa società in cui viviamo oggi è violenta ed è violenta anche contro di te, che non te ne accorgi e, siccome hai 12 anni, ti sembra di essere felice quando hai le scarpe nuove: Non è violenza il fatto che dovrai lavorare senza un contratto o da precaria per tanti anni? Non è violenza il controllo sociale? Non è violenza che chiuderanno il numero di tutte le facoltà universitarie e le tasse per iscriversi all’Università saranno altissime? Non è classismo? Non è violenza che il tuo compagno di banco non abbia ancora i documenti?
Sarebbe bello che le rivoluzioni fossero non-violente, che il solo pensiero, la forza d’animo, le idee possano migliorare una società. Non credo che la Rivoluzione francese si sarebbe potuta fare altrimenti. Non gliela avrebbero lasciata fare.