in scuola, neo-liberismo
A proposito dell’affermarsi della cultura cristiana sul paganesimo, il professore di arte della scuola superiore fu il primo a farmi notare come la storia la abbiano scritta e la scrivano i vincitori. La distruzione degli idoli e la lotta alle eresie, portata avanti in Europa dall’inizio del Medioevo alla Controriforma e da lì ancora fino a oggi, sono un chiaro esempio di come il Cristianesimo abbia trionfato sulle ceneri di altre culture e altre visioni del mondo. Le tracce delle religioni politeiste e pagane si sono infatti perse nel corso dei secoli e spetta all’archeologia e all’etnografia ricostruire un mondo cancellato, estinto.
La stessa cosa vale per quelle culture eliminate o drasticamente ridimensionate nel momento in cui si sono incontrate e scontrate con qualcuno più forte, capace di dominare: i celti, i maya, i nativi americani, eccetera.
Anche la nostra cultura e la nostra società attuale sono il frutto di incontri e scontri, in cui qualcuno/a ha vinto e qualcun altro/a è stato sconfitto: il frutto di vittorie e sconfitte comporta una ricaduta sul quotidiano e non si può relegare a qualche teoria astrusa o nel mondo della filosofia. Il vincitore, ovviamente, fa passare come unica possibile e giusta la sua visione del mondo e oggi non si pone come un odioso tiranno ma si rappresenta come buono, magnanimo, dotato di senso della giustizia e dialogante, abile a chiamare le cose con un altro nome, in modo tale che la gente resti confusa; esso è dotato di un potere così grande di persuasione da risultare inoltre accattivante. Bisogna aggiungere poi che ogni vincitore si fa promotore della “verità” e di una propria versione dei fatti e visione del mondo. La scuola è l’arma con cui istruisce i suoi nuovi sudditi a nuovi “valori”, quali la legalità e la competitività, l’emulazione e la delazione, il profitto.
Il neoliberismo è il vincitore, lo stato è il suo fedele servitore e la scuola la sua madrina.
La scuola diviene il veicolo della diffusione dei valori dominanti, per cui i bimbi, già da piccoli, si abituano ad impadronirsi e ad utilizzare alcuni concetti, grazie ai quali inserirsi nel mondo e che permetteranno loro di entrare in relazione con gli altri e con le altre, cioè a essere dominanti o dominati, a seconda della loro collocazione sociale e della loro capacità o refrattarietà nell’accettare le regole del gioco.
In questa logica è centrale il concetto di legalità: il buon cittadino è colui che rispetta le regole, chi non le rispetta viene punito. Non esistono se. Non si possono criticare le regole del gioco. Avete mai visto uno/a giocare a Monopoli senza stare alle regole? Si viene espulsi/e.
Chiunque potrebbe obiettare almeno due cose: che non tutte le regole sono giuste, che esiste una certa flessibilità nella loro interpretazione e che lo stato è a volte il primo promotore di comportamenti che sanziona, come nel caso del gioco d’azzardo, del fumo e dell’alcool, di cui detiene il monopolio e che, per sua comodità, pubblicizza e condanna, unicamente per profitto. L’ipocrisia è sotto gli occhi di tutti. Basta volerla vedere.
Allo stesso modo, la competitività e la delazione divengono due valori. Si dice ai cittadini e alle cittadine che non c’è posto per tutti, che invece il posto c’è solo per chi si rimbocca le maniche e accetta le ideologie dominanti. Gli altri e le altre, oltre ad essere esclusi/e maturano un senso di colpa e di inadeguatezza al vivere sociale, ma poco importa se resteranno esclusi/e!
Non si promuovono lo spirito di gruppo, la solidarietà, lo scambio di opinioni e di saperi – cose pericolosissime per l’ideologia dominante – ma si elogiano i comportamenti conformisti e competitivi come positivi.
Si propongono le scuole a numero chiuso, oggi già dalle superiori, trasmettendo il concetto che, nel Parnaso della vita, ci può entrare solo chi ce la fa, e molto spesso, si sa, sono proprio quelli che già in partenza sono avvantaggiati per rango sociale, non certo per virtù personali, ma anche in questo caso, poco importa, basta non dirlo, basta far credere che tutto sia possibile, mescolando le carte.
Accanto a questo, la delazione diventa anch’essa uno strumento di promozione sociale: chi non rispetta le regole deve essere sbugiardata/o, messa/o all’angolo, punita/o. Si invitano i ragazzini a denunciare chi ha scritto sul bagno della scuola, chi ha insultato l’insegnante, chi ha suonato il flauto nell’ora di scienze, per punire e dividere.
Chi fa la spia, invece che diventare un reietto, diviene un esempio da seguire.
Non c’è spazio per il dialogo, per il dissenso, per la ribellione, per il libero pensiero, per la creatività, per cui la rabbia che ragazzi e ragazze incamerano non trova uno sfogo reale e positivo e si trasforma in autodistruzione e straniamento dalla realtà o in cieco odio verso il diverso e la diversa.
Dominano la noia, il disimpegno e la paura, il rifugio nei sogni e nelle realtà virtuali, l’incapacità di pensare al domani con respiro. Diveniamo fin da giovani programmati e programmate come consumatori e consumatrici, che trovano sfogo nell’accumulare merci e oggetti, felicità comprate con grandi fatiche. Il rispetto di regole non condivise diviene frustrazione, incapacità di pensare a sé stessi diversamente.
Ma noi siamo anche altro. Non meri consumatori e non sudditi.
Dobbiamo riappropriarci delle nostre vite, riconoscere il ricatto e dire no. Riattivare quei meccanismi di solidarietà, di aiuto reciproco, di lotta, che abbiamo dimenticato. Provare a spezzare questa catena. Ragionare con la nostra testa e non con quella del vincitore.