Specchietti per le allodole ovvero….
di Elisabetta Teghil
…….un papa “attento ai poveri”, una presidente della Camera “sensibile”.
Il nuovo papa si è voluto chiamare Francesco, per richiamarsi a principi di morigeratezza e sobrietà. Porta croce di ferro e anello d’argento.
I media riportano la sua “fama di riformatore e attento ai poveri”. Le televisioni lo immortalano in mezzo ai fedeli, ai bambini, a piedi nella folla.
E’ argentino e accusato da alcuni di connivenza con la dittatura di Videla.
Ed è un gesuita.
Le caratteristiche dell’Ordine le conosciamo tutte/i e i campi d’intervento privilegiati sono le missioni e l’educazione.
La Compagnia di Gesù si è sempre contraddistinta come uno dei pilastri teorici e pratici del colonialismo , accumulando immense ricchezze, specialmente nelle Americhe colonizzate da spagnoli e portoghesi. Ma tutto il terzo mondo conosce la sua “opera”.
Nell’educazione, lo stesso Ignazio di Loyola teorizzava che tutto quello che si presenta come stimolo al dubbio o come motivo di turbamento morale o politico, deve essere accuratamente trasformato o espunto. Sul piano didattico si deve esaltare lo spirito emulativo, la meritocrazia, come atteggiamento servile nei confronti del docente, di cui si deve accettare tutto con partecipato concorso, dal pensiero alle battute, fino alla delazione recuperata come valore.
In parecchie lingue “gesuita” o “gesuitico” ha il significato di “aggiramento della verità”.
Pochi giorni fa è stata eletta la nuova presidente della Camera.
Una donna. E ha un curriculum particolare.
Nel 1989 ha cominciato la sua carriera all’Onu, lavorando per quattro anni alla FAO. Poi, ha lavorato presso il Programma Alimentare Mondiale (WFP) come Portavoce per l’Italia. Quindi, fino al 2012 è stata Portavoce dell’Alto Commissariato per i Rifugiati dell’Organizzazione per le Nazioni Unite (UNHCR).
E si è in particolare occupata dei flussi dei migranti attraverso il Mediterraneo e dei rifugiati.
Ha svolto numerose missioni in ex Jugoslavia, in Afghanistan, in Pakistan, Iraq, Iran, Sudan, Caucaso, Angola e Ruanda, scrivendo due libri nei quali viene esaltata l’umanità, la disponibilità, la dedizione del nostro personale e delle nostre truppe nelle così dette “guerre umanitarie”.
Nel suo discorso di insediamento si è dimostrata particolarmente “sensibile” alle problematiche che riguardano le donne e i migranti “…un pensiero per i morti, troppi morti senza nome che il nostro mediterraneo custodisce”…e ha dichiarato anche..”dovremo farci carico della umiliazione delle donne che subiscono violenza travestita da amore”.
E’ stata eletta nelle liste di SeL, la sua candidatura è stata fortemente sponsorizzata da Nichi Vendola, tanto che è stata scelta dal partito senza passare per le primarie.
Scusate la mia poca perspicacia, ma c’è qualcosa che non mi torna.
I Cpt/Cie sono stati creati con la legge Turco-Napolitano, nel 1998 dal centro-sinistra e approvati per appello nominale anche da Nichi Vendola. Hanno introdotto la detenzione per condizione e non per reato, un vero e proprio vulnus nel concetto di diritto e un principio che permette la detenzione di chiunque non per quello che ha fatto, ma per quello che è. Pericolosissimo per tutte/i quelli che possono risultare socialmente e/o politicamente non gradite/i e per noi donne sempre in bilico tra il ruolo in cui ci vogliono costringere e il desiderio di libertà e autodeterminazione.
E, poi, mi sbaglio o i Cpt/Cie hanno a che fare con le politiche migratorie?
E i flussi dei migranti, i barconi della speranza, non vengono forse dai paesi in cui noi occidentali portiamo le così dette “guerre umanitarie”?
E i diritti delle donne e delle diversità che sono stati tanto sbandierati per invadere,due esempi per tutti, l’ Afghanistan e la Libia, ora che fine hanno fatto in terre che, dopo l’occupazione occidentale, hanno visto riproporre addirittura la Sharia?
Ora il problema dei diritti negati alle donne si è spostato sulla Siria?
La presidente della Camera in una dichiarazione dell’8 marzo 2013, poco prima della sua elezione, ci dice “ ..a tutte quelle donne che, pur nascondendo i loro volti con una sciarpa perché temono ritorsioni, non rinunciano a denunciare gli abusi subiti e che con coraggio e determinazione testimoniano la tragedia di un popolo. A loro, la prova vivente delle atrocità commesse dal regime che si accanisce contro i suoi concittadini, va tutta la mia solidarietà, in una giornata che ricorda al mondo quanto essere donna significhi ancora, a ogni latitudine, essere discriminata, usata ,violata. In Siria è in corso un disastro umanitario con milioni di persone in fuga ma il mondo sembra voltarsi da un’altra parte, sordo alla richiesta di porre fine a tanto spargimento di sangue. Per quanto ancora le voci di queste donne verranno ignorate?”.
Peccato che le voci di donne che interessano siano, di volta in volta e soltanto, quelle delle terre che i paesi occidentali intendono aggredire e non quelle dei paesi allineati con USA, Inghilterra, annessi, connessi , collaterali, subalterni e sodali, per dimenticarsele, comunque, appena raggiunto lo scopo dell’aggressione e cioè la spartizione delle ricchezze del paese aggredito. E’ un copione che si ripete da tanto, troppo tempo.
E, allora, che cosa accomuna un papa gesuita e una presidente della camera “sensibile “ ai diritti delle donne e dei migranti?
L’ipocrisia. Ma non l’ipocrisia intesa come caratteristica personale, ma come categoria politica, strumento di manipolazione delle coscienze.
E’ uno degli elementi portanti della società neoliberista e le individualità scelte per le due cariche in questione sono emblematiche di come si muove questo ordine socio-economico-politico. Usa specchietti per le allodole, mistifica e falsifica, stravolge i linguaggi, avvelena la memoria, ricatta e blandisce spingendo all’asservimento volontario attraverso il perverso meccanismo della colpevolizzazione, del perdono, della partecipazione e del coinvolgimento nelle sorti dell’impero.
Si attuano scelte di abbattimento dello Stato sociale, di grande impoverimento della maggior parte della popolazione, di distruzione sistematica delle economie di sussistenza dei popoli del terzo mondo e ci si ammanta di sensibilità pelosa nei riguardi dei/delle poveri/e, di attenzione ai diritti umani e a quelli delle donne, si strumentalizza il dolore e la disperazione per rafforzare il dominio, si usa l’attenzione alla povertà per ribadire la sottomissione e la dipendenza con lo stesso meccanismo con cui alle donne si toglie il lavoro e l’indipendenza economica e,allo stesso tempo, si usa la violenza che subiscono per infantilizzarle attraverso la vittimizzazione e la delega.
Allora è il caso di non prestarsi più al gioco, di svelare questi meccanismi, di prendere le distanze, di recuperare la capacità di indignarci, premessa indispensabile per la comprensione che la lotta femminista è inscindibilmente di genere e di classe.