Cadute/i dal pero…
Elisabetta Teghil
«….la politica europea dovrebbe somigliare un po’ di più in campo economico e sociale a quella degli Stati Uniti». Pier Luigi Bersani -«America 24» (18 febbraio 2013)
Nel dibattito politico sono prepotenti due dimensioni che si sono affermate: il debito e la crisi.
Il primo è un cappio per strangolare la già debole sovranità nazionale dell’Italia, la seconda è l’alibi attraverso cui si sta attuando, e per certi versi si è attuato, l’impoverimento generalizzato che ha colpito soprattutto i ceti medi a cui è stata tolta anche la speranza che coltivavano di mobilità e di valorizzazione socio-economica. Questo attraverso lo smantellamento dei servizi collettivi.
Lo smantellamento dello Stato sociale ha colpito con forza la piccola e media borghesia .
Ma queste soggettività si fanno ancora irretire dalla vulgata falsa e abbondantemente propagandata che tende ad incanalare il risentimento nei confronti di bersagli di volta in volta individuati nell’evasore fiscale, nello statale fannullone, nel migrante, nel piccolo imprenditore corruttore, nel libero professionista azzeccagarbugli, nel pregiudicato non più eleggibile, nei manifestanti violenti, nella sanità e nell’istruzione pubblica fonte di sprechi e di inefficienza e ,per finire, in Berlusconi, male di tutti i mali.
Tutto questo produce una retorica incardinata sulla legalità, sulla “non violenza”, sul giustizialismo, sulla meritocrazia, basi della legittimazione dell’autoritarismo vigente.
Ma il vaso di coccio in questa nuova ricomposizione sociale sono i lavoratori cognitivi, cioè socializzati dall’istruzione, che hanno scoperto sulla loro pelle che era falsa la speranza della crescita lineare dei posti di lavoro intellettuale e che le loro prospettive sono un precariato sottoccupato e sottopagato.
Ma la loro parabola è emblematica: lavoratori che si sono laureati in prima generazione hanno tradito la loro estrazione sociale, dimentichi che la scolarizzazione di massa e l’accesso alla laurea era il frutto delle lotte del ’68 e degli anni ’70.
E adesso come possono criticare gli operai e i lavoratori salariati, se loro stessi sono stati i primi a prestarsi al malinteso di credere che le loro conquiste fossero legate ad una tendenza ineluttabile e non frutto delle lotte? a credere, non si sa quanto in buona o in cattiva fede, che il miglioramento graduale delle condizioni di vita della popolazione fosse frutto delle soluzioni riformiste? Ora cadono dal pero e scoprono che il riformismo, con una violenza sistematica resa possibile dal contributo linguistico-discorsivo della socialdemocrazia, è attacco a tutto campo alle loro condizioni di vita e a quelle della stragrande maggioranza della popolazione.
Aver partecipato al culto riformista, aver delegato alla socialdemocrazia la propria rappresentatività, ha creato le condizioni materiali di distruzione delle condizioni sociali e intellettuali della piccola e media borghesia e dei lavoratori tutti, compresi quelli cognitivi, realizzando un dispositivo di assoggettamento a tutto campo.
La lotta di riposizionamento degli Stati e delle multinazionali in campo internazionale si riverbera nella vicende nazionali, nella lotta senza quartiere per la ricomposizione di classe nel paese.
Come in campo internazionale sono gli Stati Uniti e l’Inghilterra e le loro multinazionali all’offensiva,così, in Italia, l’iper-borghesia è all’offensiva e la prospettiva per cui lavora è un ulteriore ribasso dei salari, lo smantellamento definitivo dell Stato sociale, la privatizzazione dei servizi pubblici, maniera elegante per dire la loro svendita alle multinazionali anglo-americane, e l’annientamento dell’ economia di sussistenza da sottrarre alla miriade di cittadini che sopravvivono grazie ad essa, per regalarla a società di capitale.
Un paese che parla solo di tasse e di “costo del lavoro” è un paese alla frutta.
Il fisco è una “scimmia” che pesa sui cittadini/e, una forma di dipendenza e/o giaculatoria giustificatrice con cui l’iper-borghesia si autoassolve.
Con questo si evita di parlare dell’abbattimento dello Stato sociale nella sua totalità, della miseria dei lavoratori/trici e dell’impoverimento della classe media, provocando un corto circuito economico di natura depressiva con ricaduta sulla vita dei/delle cittadini/e (quasi tutti/e).
Ma, tranquille, non sono opzioni improvvide, sbagliate, sono scelte volute e le conseguenze sono calcolate là dove si prendono le decisioni e questo lo sanno bene i funzionari politici che hanno il compito di tradurle in leggi, vedi PD.
E non si fermano davanti a niente. Quelle frazioni di borghesia che non si adattano saranno sconfitte e i loro referenti, vedi Berlusconi, saranno spazzati via.
Questo vale anche per Grillo e amici/che, o si piegano e si prestano al gioco o anche per loro si apriranno scenari di delegittimazione sociale e giuridica, come, del resto, è successo con la Lega, distrutta nel giro di un giorno sotto la pressione concomitante dei Servizi, della magistratura, dei “dissidenti” interni.
Sanno tutto, anche che l’universalizzazione delle prestazioni sociali…scuole, ospedali, case popolari….è un volano per l’economia ed è alla base di un diverso modello di sviluppo. Le scelte che fanno vanno in una direzione voluta perchè il neoliberismo è guidato da tre stelle polari a cui tende: ‘800, feudalesimo,nazismo.
Le scelte fatte non sono dettate dal desiderio di evitare che l’Italia diventi la Grecia, tutt’altro! E’ lì che vogliono farci arrivare e la Grecia non è il terminale, ma il passaggio per arrivare ad una società come quella statunitense.
Per questo, abolizione dell’Art.18, della contrattazione nazionale, approvazione del Fiscal Compact, tagli alla sfera pubblica, licenziamenti nello Stato e nel parastato, precariato diffuso e inasprimenti fiscali( l’IMU è un antipasto).
In definitiva e in parole semplici, si mettono le mani in tasca ai cittadini/e, ai loro conti correnti e alle loro proprietà con uno spostamento di ricchezza a vantaggio dell’iper-borghesia e delle banche, ricchezza da utilizzare in parte nello sviluppo degli apparati militari e repressivi.
Da qui, l’ipertrofia penale, questa sì che non conosce crisi, perchè la soluzione scelta provocherà dolore e disperazione e il capitale si è già attrezzato per farvi fronte attraverso una gestione autoritaria del sociale. Per questo sono molto attive le prefiche della non-violenza ,pretesa sempre e soltanto dai subalterni/e, e le vestali della legalità.
Queste ultime si dimenticano sempre come la corruzione, la violenza, la legalità di classe siano tutt’uno con il capitalismo.
I lavoratori, il ceto medio,sono sopraffatti dall’angoscia per il presente e dall’ansia per il futuro. Perchè tutto ciò non provochi pulsioni reazionarie, è necessario non riprodurre gli stessi errori che hanno portato alla criminalizzazione del movimento del ’68 e del ’77, alla repressione delle organizzazioni di classe, come Lotta Continua e Autonomia, e/o alla presa di distanza da quelle esperienze e da quelle lotte che, invece, sono state foriere di piccole/grandi conquiste.
C’è bisogno di una ricomposizione da contrapporre a quella che vuole attuare il capitale e, questa, passa attraverso il rifiuto della inevitabilità storica del processo in essere, cominciando con la presa d’atto della rappresentazione teatrale delle elezioni che non permettono nessuna alternativa politica al progetto neoliberista, con lo smascheramento della funzione dei partitini che si autodefiniscono di sinistra e la lettura precisa e puntuale del ruolo del PD e dei media di riferimento.
Basta con le rivoluzioni colorate, con le Snoq e le Onde……… individuiamo nuove forme di resistenza, nuovi comportamenti di rifiuto, nuove forme di aggregazione e organizzazione