da scateniamotempeste
A lavoro, al mercato, dalla parrucchiera… ovunque, in zona-elezioni, trovo gente che mi chiede cosa farò, se voterò, per chi, “ah, che brutta situazione in Italia”, “bisogna cambiare”, “speriamo che la gente stavolta non voti Berlusconi, che ci ha ridotto così”, “abbiamo vissuto per anni al di sopra delle nostre possibilità… e ora stiamo pagando”.
Io nicchio. Tranne quando la provocazione è troppo forte e mi prudono le mani. Ad esempio, l’ultima frase me l’ha detta una mia coetanea piuttosto ricca grazie alle aziende di famiglia, che ho incontrato per strada. E ho pensato: “ma te, che vai in vacanza ogni anno a Sharm e a Cortina, dove hai la casa, ma come ti permetti di pontificare sul modo in cui hanno vissuto tutti questi anni gli italiani, visto che le tue possibilità sono per me un infinito irraggiungibile? Almeno ti stessi zitta…”.
Ognuno/a ha una sua teoria su chi salverà l’Italia dopo aver vinto le elezioni.
Io mi chiedo: ma davvero ciò che differenzia la nostra “avanzata democrazia” rispetto alle “feroci dittature” è il fatto di apporre una X su una scheda elettorale? Dove stavano tutti questi attivisti della politica quando c’era da fare una protesta, che so, contro il Tav, contro i tagli alla scuola, contro qualsiasi cosa che ci siamo sorbiti in questi anni (Monti compreso)? Forse a loro queste cose non interessano. Non interessano nemmeno le cose di tutti i giorni, salvo poi lamentarsi in coda in posta per l’IMU, o in coda all’accettazione dell’ospedale per i ticket degli esami, più cari che a pagarli in una clinica privata.
Pensavo che ci dovessimo differenziare dalle “feroci dittature” per i servizi a tutti/e, come la scuola, la sanità pubblica, l’assistenza, possibilità per tutti/e, mobilità sociale, ammortizzatori sociali, leggi sul lavoro che non ci rendessero schiavi, o precari, o schiavi precari… Invece la democrazia ti dà la possibilità oggi di scegliere da chi farti togliere tutte queste cose, semplicemente mettendo una crocetta, una ics, come al totocalcio, con la scusa che c’è la crisi, “che abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità” (chissà perché però a qualcuno è concesso oggi e sarà concesso domani vivere al di sopra delle possibilità degli altri).
Sono molto sfiduciata a questo giro.
Essere cittadina, se oggi ha un senso esserlo e non abbandonarsi all’individualismo più totale, sta per me nell’idea di cambiare lo stato attuale delle cose, nel credere che forse da qualche parte ancora si possa fare resistenza al sistema attuale, nel battermi per la scuola pubblica, gli ospedali pubblici, l’autodeterminazione nella scelta di vivere, morire, far nascere, abortire, nell’avere una dignità sul posto di lavoro, nella possibilità di scegliere un lavoro che danneggi il meno possibile la collettività e che mi dia da mangiare senza sfruttare gli altri, nel poter aiutare – sperando che si possa organizzare per difendere i propri diritti – chi è più in basso di me nella scala sociale, nel solidarizzare con i migranti e le migranti contro le leggi che li vogliono delinquenti…
Non sta nella difesa di feticci come la legalità o la famiglia. Che tutti i partiti sciorinano.
Nel voto, io attualmente non vedo una possibilità di cambiare lo stato attuale delle cose. Poi ognuno/a farà quel che vuole: oggi per me essere cittadina, esercitare il mio dovere da cittadina – e ripeto, ho molti dubbi che questa parola possa avere ancora un significato – non è principalmente votare.