Integrazione

da scateniamotempeste.wordpress.com

(Punto di partenza: se mi si dice che sono perfettamente integrata in questa società, io un pochetto mi inalbero…)

Non mi è mai piaciuta la parola “integrazione” con il valore che ne dà la società come qualcosa di positivo in sé, anche se mi rendo conto di usare questo termine quando non trovo concetti sintetici, che rendano meglio certe situazioni in determinati contesti. Ad esempio posso usarla a scuola, quando arriva un nuovo alunno, e i genitori ti chiedono: “si è integrato nella classe?”. Sì o no. A volte non c’è modo semplice di spiegare che sarebbe bello che uno/a non solo si integrasse nella classe ma contribuisse a portare quello che è e modificasse i rapporti al suo interno. E poi, in quelle classi orribili di ragazzini stronzi che affliggono i più deboli? È un bene integrarsi o no? Per cui, dal momento che le parole sono importanti, nel mio esercizio quotidiano di comunicazione con gli altri terresti, sto cercando di rendere il mio linguaggio più consono al mio pensiero e di evitare le parole che non corrispondono a ciò che ho in mente e vorrei dire. La parola integrazione, infatti, non può essere in sé un concetto positivo e l’integrazione in sé non può e non deve essere per forza un valore, a meno che consideriamo che questa società sia la migliore possibile e, quindi, ci rallegriamo ogni volta che qualcuno che ne è escluso per gusti sessuali, razza o religione, ne sia invece individualmente incluso. La riflessione parte dal fatto che, oggi, in una radio “di sinistra”, si parlava dei giovani cinesi di Milano come un bell’esempio di integrazione perché, a differenza dei loro genitori, immigrati in Italia durante gli anni ’80, essi si sono perfettamente integrati, dal momento che portano i nostri stessi abiti e amano passare il tempo libero come noi. La giornalista solerte era andata addirittura ad una festa di cinesi al Tunnel, un noto locale di Milano, dove un gruppo di liceali cinesi suonava canzoni in inglese, come I will survive. La giornalista, all’ingresso, nota che tutti sono cinesi e nessuno parla in italiano, tuttavia conclude: “amano divertirsi come noi!” e pertanto si stanno integrando. Ora, oltre a trovare simili considerazioni razziste, perché danno per scontato la superiorità della nostra cultura anche nel modo di divertirsi, è evidente come l’integrazione non possa essere rappresenta da un luogo di divertimento o da una marca di jeans ma, anche per i fan più scatenati di tale concetto, dovrebbe rimandare quantomeno a una comunicazione comune (ad esempio linguistica). Allo stesso modo mi viene da pensare quando si citano i politici locali neri come bell’esempio di integrazione o quando si dice che noi siamo un paese razzista e quindi non avremo mai un presidente nero, come invece accade negli Stati Uniti. È vero: siamo un paese razzista ma non dimentico anche che siamo un paese fortemente classista. Vivo la presenza dei migranti nelle liste elettorali nelle prossime elezioni con un certo imbarazzo: i partiti italiani tutti da un lato non fanno un passo indietro sui Cie o sulla spietata battaglia per la legalità (che colpisce tanti ma in proporzioni enormi i migranti senza permesso di soggiorno), dall’altra invece si fregiano di avere schierati nelle proprie fila uomini e donne migranti o di seconda generazione… così che la promozione personale di questi viene interpretata come integrazione di interi popoli, mentre si continuano a portare avanti campagne razziste e classiste contro i più. E mi chiedo: ma questi/e che si prestano al gioco dei potenti di turno lo fanno con ingenuità e buona fede (e non hanno capito nulla), pensando di poter cambiare qualcosa all’interno, o per fare carriera (e allora hanno accettato il sistema spietato delle cose)? Allo stesso modo, un valore positivo è dato alla presenza di donne e omosessuali in ogni tipo di settore, confondendo anche qui il piano della promozione individuale con quello delle possibilità per tutti/e e dimenticandoci che una donna in più a capo di una grande azienda non significa che verrà uccisa o stuprata una donna in meno o che le donne tutte saranno più libere. Mi viene difficile pensare che una donna integrata nel sistema con un lavoro prestigioso in una multinazionale porterà avanti le lotte dei popoli e delle donne che quella multinazionale opprime. Poi niente da obiettare se una vuole fare carriera e sulla difficoltà in cui ci si imbatte in certi ambienti maschilisti (aziende, università, istituzioni…). Niente da obiettare se a una piace la società com’è e vuole salire sul carro dei vincitori. O se dal carro spera di poter cambiare qualcosa… Per poi non parlare dell’integrazione delle donne musulmane: in genere chi parla di donne musulmane ne parla sempre con superiorità, pensando di conoscere tutto di quella cultura e di poter pontificare dall’alto cosa sia meglio per loro. Su questo argomento sono in palese difficoltà, perché mi rendo conto in primo luogo che il mondo musulmano è un universo e non se ne può parlare come un blocco unico di persone con un pensiero unico, poi perché mi rendo conto che gran parte di quella cultura è così distante dalla mia che, d’impulso, sono più portata a vedere l’oppressione di una donna con il burqa – pur sapendo che il burqa non racchiude in sé tutto l’Islam – che quella di una ragazza in minigonna. Sinceramente però non ho gli strumenti per capire cosa vogliono le donne con il burqa… Facciamo loro una guerra con le bombe vere che uccidono i loro figli, così potranno liberarsi? Mettiamo delle leggi, come in Francia, che vietano di uscire completamente coperte, convinti che la legge possa modificare “in meglio” una cultura e le possa integrare? E se loro stesse non volessero toglierselo, pensiamo che non hanno ancora capito, non si sono abbastanza evolute, non hanno il coraggio? Le integriamo a forza o le giudichiamo male (è facile giudicare, le nostre madri hanno fatto il ’68)? E a noi piace essere integrate in questa società o ci sentiamo un po’ dis-integrate da essa?

Forse l’integrazione è un concetto positivo solo per chi vuole credere che non ci possa essere una società più giusta al di fuori di questa.

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