da scateniamotempeste.wordpress.com
“Certa gente non ama ricordare
Molta gente non vuole capire
Certe cose non si devono pensare
Molte cose non si possono dire”
(Erode – Ulrike)
Se c’è qualcuno che ha pagato caro, e senza sconti o riduzioni, in Italia, è senza dubbio chi ha intrapreso, durante il suo percorso politico, la scelta della lotta armata. Non di certo i politici corrotti, i mafiosi, gli stragisti neri, i ricettatori. Lo stato, vincitore su chi voleva sovvertirlo, ha comminato condanne esemplari e ha decretato come unica interpretazione possibile la propria versione dei fatti. La sinistra, il Partito Comunista prima e oggi tutto l’universo della sinistra parlamentare e associazionistica che alza il vessillo della non-violenza, non solo, come è comprensibile, non ritiene faccia parte della propria storia il percorso della lotta armata, ma da sempre ha rigettato quell’esperienza e la ha condannata al pari (e forse più) dei fascisti (per lo meno dei fascisti che non picchiano).
Chi ha aderito, in quella stagione, a quel movimento ha ricevuto non solo condanne penali pesantissime ma la società tutta lo ha condannato.
Di quel periodo, dei “terroristi rossi”, si parla esclusivamente in termini accusatori, come di tutti i grandi sconfitti, senza analisi, senza una ricostruzione storica dei fatti, della società, del clima politico e culturale degli anni Settanta. Non c’è stato mai un vero dibattito fra le varie anime della sinistra italiana e, purtroppo, negli ultimi vent’anni, neppure nel movimento. Se ne parla informalmente fra compagni, motivando i punti di vista, e quelli che non hanno vissuto quella stagione magari si chiedono: “e tu, cosa avresti fatto? Da che parte saresti stato? Che senso ha avuto quell’esperienza? In che misura è nostra e in che misura ne prendiamo le distanze?”. Ma è un dialogo che si fa a bassa voce, con la paura di essere ascoltati da chissà chi, proprio perché vi è una damnatio memoriae totale verso quell’esperienza e quella stagione e perché chi ha pagato ha pagato un prezzo altissimo. E ci spaventa.
Stamattina è morto Prospero Gallinari. Contadino. Brigatista rosso. Comunista. Compagno. La sua morte mi ha scosso. Non tanto per la tragicità della vicenda in sé ma perché se ne è andato un uomo coerente con la sua scelta, per nulla ipocrita, “una persona – come ha scritto Erri De Luca – da ascoltare”. Lo avrei ascoltato anch’io volentieri se ne avessi avuto l’occasione e invece mi sono limitata a leggere il suo libro.
Sentirei la necessità di parlare pubblicamente con qualcuno al di là delle opinioni preconfezionate ma so già che pubblicamente non avverrà. Gli articoli di giornale ripropongono il profilo di un mostro impenitente. Avevano già pronto il coccodrillo della retorica del cattivo. Le radio socialdemocratiche annunciano l’evento come una notizia Ansa, telegraficamente, pesando le parole, con imbarazzo. Non amano fare i conti con la storia che bussa. Una radio ha intervistato anche qualcuno che lo conosceva e che ha sottolineato come negli ultimi anni Prospero non pensasse più alla lotta armata ma lavorasse per la cittadinanza ai migranti. La redenzione! Forse faranno una trasmissione radiofonica sulla memoria, sottolineando gli errori della lotta armata. Erano compagni o no? Compagni che sbagliavano? O forse è meglio non parlarne proprio.
Gallinari è stato un uomo coerente. Che ha pagato tantissimo. Questo, per lo meno, non gli si può e non gli si deve negare.
Il suo libro “Un contadino nella metropoli” resta un documento, una memoria preziosissima per quegli anni, non solo politica, ma del tessuto sociale italiano dal dopoguerra ai giorni nostri. Una voce importante anche per la ricostruzione storica di un periodo. La consapevolezza di appartenere alla classe degli sfruttati dalla nascita, l’inizio dell’attività politica nella FGCI, l’avvicinamento alla lotta armata, la vicenda Moro, il carcere – anzi, le carceri – la riflessione tagliente sul presente, la consapevolezza della sconfitta. Come scrisse lui: “Fine di una storia. La storia continua”. Prima di giudicare come gli uomini e le donne di tribunale, sarebbe doveroso almeno conoscerla, la storia. Questa storia.