Allarme Rosso 14/ L’identità digitale

“Ogni progresso tecnologico modella il mondo nel momento in cui viene utilizzato. La digitalizzazione di tutti i servizi pubblici e il requisito dell’accesso tramite un terminale collegato a internet implica e giustifica delle trasformazioni dello spazio.” e del tempo e della nostra vita, aggiungiamo noi!

Come non ho (ancora) creato la mia identità digitale

Di un giardiniere non identificato

Da Rivista Malamente n. 31, dic. 2023 (QUI IL PDF)

Quel che segue è il racconto di una piccola odissea in cui è incappato un giardiniere francese che voleva seguire un corso di formazione del Centro per l’impiego (racconto che è stato pubblicato sul sito di Pièces et main d’œuvre). Seguire il corso è obbligatorio per poter avviare la sua attività lavorativa, l’unico modo per iscriversi e pagarlo utilizzando i fondi messi a sua disposizione è tramite un sito che richiede di autenticarsi con identità digitale, ma se non possiedi uno smartphone non puoi attivare la tua identità digitale… La tradizionale burocrazia diventa ancora più odiosa facendosi amministrazione digitale.

L’identità digitale è un modo per garantire a cittadini e imprese la possibilità di identificazione e autenticazione elettronica sicura, tramite telefono cellulare (molti di noi avranno già avuto a che fare con lo SPID). L’evoluzione a cui si sta lavorando negli ultimi anni – proposta dalla Commissione europea nel giugno 2021 – è la definizione di un quadro normativo comune per l’European Digital Identity Wallet: un “portafogli” che integra identità digitale, certificati, pass e altri attributi personali. In questo, ovviamente, le grandi aziende informatiche non stanno a guardare, con Google che è già passata da Google Pay a Google Wallet.

Tramite il Portafogli digitale sarà possibile identificarsi e accedere ai servizi digitali pubblici e privati di tutta l’UE. Come oggi non è in realtà un obbligo possedere la carta d’identità cartacea o elettronica (quella a forma di tessera bancomat), ma non averla significa essere tagliati fuori da tutte le attività in cui viene richiesta; così potrà presto avvenire per l’identità digitale tramite app su smartphone: non sei obbligato a dotartene, ma se non la hai… problemi tuoi. L’accesso ai servizi, anche a quelli base, diventerà molto complicato.

La rete si stringe sempre di più: se possedere uno smartphone è già ora (in una certa misura) un obbligo sociale, presto potrà diventare un (quasi) obbligo civile e amministrativo. Per chi si ostinerà nel sogno proibito di vivere senza uno smartphone (in attesa che tutte queste informazioni digitali siano più comodamente ospitate in un chip sottocutaneo), l’esclusione dalla vita sociale e civile sembra la soluzione più logica.

L’identità digitale non è che un tassello di un progetto in corso da tempo: l’informatizzazione totale della società. Tralasciando l’insostenibilità ecologica del digitale (che si basa sullo sfruttamento di risorse minerarie e su consumi massicci di elettricità; ne abbiamo già parlato, ad esempio, su Malamente #18), è evidente che quanto più trasferiamo le nostre vite su applicazioni informatiche, tanto più aumenta il controllo su di noi e la nostra dipendenza dalle organizzazioni che le gestiscono. Anche l’identità digitale diventa quindi una perdita di potere reale sulle nostre vite, una perdita di autonomia e libertà. E tutto procede nell’indifferenza collettiva degli smartiani, cioè della gran parte dei nostri contemporanei.

Ma lasciamo la parola al nostro giardiniere che, in fondo, voleva solo piantare qualche fiore.

«Dal 25 ottobre 2022, non sarà più possibile effettuare acquisti sul portale Mon Compte Formationsenza passare per il sistema di sicurezza rafforzata FranceConnect+».

È quanto ho scoperto il 20 gennaio 2023, quando ho cercato di utilizzare il mio CPF (Compte Personnel de Formation) per pagare un corso di formazione obbligatorio imposto dalla Camera dell’Agricoltura come parte del mio “percorso di avviamento”. Ero già riluttante alla sola idea di crearmi un’Identità digitale, ma che sorpresa è stata apprendere che «per attivare la vostra Identità digitale è necessario […] disporre di uno smartphone connesso a Internet»!

Impossibile, ho pensato. Ci dev’essere un modo per farlo al computer, o anche di persona all’ufficio postale (perché è La Poste che fornisce il “servizio” di identità digitale). «Assolutamente no – mi ha risposto l’impiegata dell’ufficio postale. È necessario uno smartphone o un tablet personale per attivare il tuo account sull’app. Ripeto, personale! Perché l’app gestisce una sola identità (non si può uscire e rientrare con un altro account). Torni quando avrà acquistato uno smartphone; in ogni caso, ne avrà bisogno anche in futuro: presto tutto sarà così!».

Probabilmente la signora ha ragione. Per sicurezza provo a rivolgermi a un altro ufficio postale, ma continuano a dirmi la stessa cosa. Anzi, la collega ci mette il carico: «Anche per rinnovare la patente di guida le servirà un’identità digitale. Presto tutti i servizi governativi [già interamente digitalizzati, come sapete: sono i siti con .gouv nell’indirizzo] la richiederanno. Per prevenire la pirateria».

Eppure, dopo qualche altra ricerca, supero la mia disillusione: finalmente, trovo che è possibile inviare un «modulo di richiesta di verifica dell’identità per il pagamento di una formazione CPF». Il tempo di elaborazione è di 4 settimane, poi il mio dossier convalidato (o meno) mi verrà rispedito, e potrò quindi far verificare la mia identità al ricevimento della lettera, a casa o presso un ufficio postale. Infine, dovrò aspettare ancora qualche giorno per ricevere una notifica via e-mail, che mi permetterà di accedere al mio conto CPF e così adempiere agli obblighi formativi richiesti dalla Camera dell’Agricoltura. Certamente, tutta questa trafila richiede più tempo di un semplice clic o di un selfie (usato come riconoscimento facciale) per convalidare la mia identità. Ma questa volta mi va bene: riesco a rimandare di un po’ le date del corso di formazione.

È il 25 gennaio. Stampo il modulo in questione. Inserisco la mia identità e spunto i motivi della richiesta, ovvero: «Il mio telefono non è compatibile» e «Non voglio usare l’identità digitale». Allego alla lettera i documenti di supporto richiesti: una fotocopia di un documento d’identità e della tessera sanitaria. Una volta inviata la lettera, mi viene qualche dubbio. Questa procedura sarà valida solo per questo corso di formazione o mi permetterà di sbloccare una volta per tutte l’accesso al CPF? Dovrò fare la stessa cosa per tutti i servizi che presto richiederanno l’identità digitale? Per saperlo con certezza, invio delle e-mail ai vari enti che sembrano coinvolti in questa faccenda: La Poste, Mon Compte Formation e France Identité.

France Identité è stata la prima a rispondermi (il giorno dopo), dicendomi di mettermi in contatto con La Poste, che è «l’operatore deputato all’identità digitale del CPF». Il servizio di identità digitale di La Poste mi ha risponde dicendomi che devo utilizzare l’apposito modulo cartaceo. A tutt’oggi, nessuna risposta da parte di Mon Compte Formation.

Mentre aspettavo la sentenza, ho preso appuntamento con la mia consulente del Centro per l’impiego, per spiegarle la situazione: devo seguire un corso di formazione obbligatorio che costa circa 1.500 euro e non ho accesso al mio conto CPF per pagarlo. Questo corso mi permetterebbe di rientrare nel mondo del lavoro, avviando un’attività di agricoltore-erborista. La consulente mi spiega che se facesse domanda per un altro programma di finanziamento, verrebbe rifiutata automaticamente, perché l’utilizzo in primo luogo del CPF è una condizione non negoziabile. Abbiamo una lunga conversazione durante la quale, non senza compassione per la mia situazione e una sincera comprensione per la mia scelta, mi ricorda che se voglio usufruire dei servizi governativi, come gli aiuti all’avviamento di un’attività (per i quali sono obbligato a frequentare questo famoso corso di formazione), o le sovvenzioni del Centro per l’impiego, devo rispettare certe regole, e la digitalizzazione delle cose – che sta procedendo senza la minima consultazione pubblica e nella più totale indifferenza – è una di queste. Altrimenti, devi diventare un «vero marginale», non aspettarti nulla o addirittura vivere nell’illegalità. Non chiedo tanto, vorrei solo piantare qualche fiore.

3 febbraio. Ricevo una lettera in cui mi si dice che la domanda è stata accettata, che la mia identità è stata verificata e che ora dovevo solo aspettare qualche giorno per completare la procedura online. Oh, che gioia! Non era poi così difficile…

Il 10 febbraio, ancora nessuna notizia. Chiamo il servizio clienti del CPF nella speranza che qualcuno mi dica se è il caso di preoccuparsi o se quel «qualche giorno» della lettera può durare ancora a lungo. Ho digitato 1, poi 2, 3, poi 1 ecc…. senza nessuna traccia di un essere umano all’altro capo della linea. Il numero verde serve solo a rimandarti alle varie sezioni del sito web. Sia come sia, rimetto insieme tutti i documenti, allego la lettera di conferma che avevo ricevuto, appunto un messaggio in cui spiego l’urgenza della situazione e rispedisco il fascicolo allo stesso indirizzo.

Il 13 febbraio, accidenti! Ricevo una mail da Mon Compte Formation che, invece darmi buone notizie, mi comunica che sono necessarie ulteriori verifiche. Come parte di questa indagine, mi viene chiesto di fornire:

– Un documento d’identità valido e leggibile (in copia, scansione o foto): carta d’identità, passaporto, permesso di soggiorno;

– copia della tessera sanitaria;

– copia della lettera ricevuta E della sua busta o, in mancanza di questa, una prova della ricezione della lettera raccomandata;

– la data della prima richiesta inviata a La Poste.

Rispondo quindi che, purtroppo, non sono più in possesso della lettera in quanto gliel’ho rispedita e adesso sono loro (i servizi di Mon Compte Formation) ad averla e inoltre, come tutti i bravi eco-cittadini che praticano assiduamente i loro eco-gesti, dopo averla aperta ho gettato la busta nel bidone della raccolta differenziata.

Finalmente, 3 giorni dopo, il 16 febbraio, ricevuto la conferma che la mia identità era stata verificata. Faccio i passi necessari e riesco a collegarmi al mio CPF. Mi viene specificato che questa connessione è valida una volta per tutte e che non avrei dovuto rifarla, per fortuna.

Questa disavventura, certamente risibile, mi offre lo spunto per intravedere il ruolo della digitalizzazione delle cose – dei servizi pubblici, nel nostro caso – nella precarizzazione della nostra vita, e quindi le ragioni per opporvisi.

Consideriamo che la riduzione di qualcosa a un dato permette di farla comprendere da una macchina e quindi di elaborarla automaticamente. Allora, più le classi dirigenti – che sono i creatori delle macchine e/o che ci impongono il loro uso – saranno in grado di ridurre le cose a dati, tanto più acquisiranno potere di azione, di controllo, di programmazione e di gestire su queste cose. E, lasciatemelo dire…, queste cose, tra le altre, siamo noi. Costringendoci a creare un’identità digitale, lo Stato rafforza la sua capacità di gestire informaticamente la vita pubblica. I dati generati possono essere gestiti e amministrati da macchine e software; il processo decisionale si automatizza.

Farsi attribuire un’identità digitale significa diventare un supporto d’informazione. Ogni individuo porta con sé (sul telefono cellulare, su una smart card o presto, perché no, in un chip sottocutaneo) una serie di informazioni digitali che gli permettono di essere “identificato” da una macchina o, in casi eccezionali, da un’altra persona. Siamo quindi ridotti, agli occhi (o meglio ai sensori ottici) del sistema che ci amministra, a una semplice serie di informazioni che potrà gestire efficacemente. Un po’ come se fossimo dei pacchi con un codice QR che indica dove dobbiamo essere spediti, o una merce con chip RFID che indica a quale reparto del negozio apparteniamo.

Rendere comune l’uso dell’identità digitale significa costringere la popolazione a dotarsi di strumenti connessi, come uno smartphone, per accedere a luoghi e servizi. Allo stesso tempo, questo stigmatizza i “non connessi”. L’incontestata spinta in questa direzione data da chi detiene il potere rivela il suo carattere totalitario. Questo primo passo – obbligare le persone a usare l’identità digitale per accedere ai servizi governativi – apre una porta che non potremo più chiudere. Se avete accettato l’identità digitale per questo, perché non per quello? Poi utilizzeremo questo sistema di identificazione per ogni cosa e, ad esempio, una volta che non ci saranno più esseri umani nelle stazioni e si dovrà passare attraverso un tornello utilizzando la propria protesi digitale, sarà davvero impossibile muoversi senza la propria identità digitale.

Ogni progresso tecnologico modella il mondo nel momento in cui viene utilizzato. La digitalizzazione di tutti i servizi pubblici e il requisito dell’accesso tramite un terminale collegato a internet implica e giustifica delle trasformazioni dello spazio. Non sarebbe sorprendente vedere nei prossimi anni industriali e politici censire tutte le zone del territorio non connesse e sostenere l’installazione di ripetitori con la motivazione filantropica di un accesso “inclusivo” ed “egualitario” al pieno esercizio della “cittadinanza digitale”.

Il mondo digitale, che la propaganda ci vende come “dematerializzazione”, non sarebbe nulla senza gli “schiavi dell’elettronica”: uomini e donne che estraggono le materie prime, le trasportano e le trasformano, costruiscono le macchine. maneggiano prodotti chimici, riciclano, bruciano o seppelliscono i rifiuti. E senza i milioni di metri quadrati di infrastrutture e i milioni di metri lineari di cavi e fibre. E, naturalmente, senza le centrali nucleari, a gas e a carbone, e senza l’estrazione del petrolio. In poche parole, il mondo digitale non sarebbe nulla senza l’immensa quantità di materie prime e l’organizzazione sociale necessaria alla sua esistenza. Se rifiutiamo il digitale e il suo mondo è perché sappiamo che è il prodotto della società industriale e, in quanto tale, è inconcepibile farne un “buon uso” o conservarne gli “aspetti benefici” senza perpetuare l’intero sistema che ne permette l’esistenza. Questo è il pensiero ereditato da Jacques Ellul: l’universo tecnico, in modo autonomo – vale a dire che non importa da chi o come sia diretto! – cerca di riprodursi e rafforzarsi. I “lati positivi” della tecnologia si presentano al prezzo di una totale sottomissione al sistema e alle nocività che esso produce.

Come ogni nuova tecnologia, la generalizzazione dell’identità digitale porta con sé una fuga in avanti verso ancor più tecnologia. Dovremo identificarci più spesso, più rapidamente, in modo più sicuro ecc. Nel frattempo renderà obsoleti i vecchi modi di identificazione: non esisterà più il presentarsi di persona e dialogare; non si sarà più nessuno con cui parlare! Nel mio caso, non sono riuscito ad avere alcun contatto umano con il servizio Mon Compte Formation, tutte le pratiche sono state effettuate tramite centralino telefonico con risponditore automatico ed e-mail; per maggiori informazioni, se avete domande, consultate le FAQ.

Forse è arrivato il momento di allontanarsi dal comfort della tecnologia e di interrogarsi su una società che delega le sue decisioni politiche a macchine e algoritmi, con il pretesto dell’efficienza e della sicurezza. La tecnologizzazione del mondo permette ai potenti di realizzare il loro ideale di ingegneria sociale e controllo globale. Ogni piccolo passo in questa direzione è un passo indietro per la nostra libertà e la nostra autonomia. Chiunque aspiri a condurre una vita libera e dignitosa dovrebbe imperativamente rifiutare questa marcia forzata. Non resta che darsi i mezzi per farlo.

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