Una prospettiva sulle mobilitazioni contro il Green Pass a Trieste

di alcune compagne e compagni di Trieste

ilrovescio.info

Premessa

Scriviamo questo contributo per provare a mettere nero su bianco l’esperienza che stiamo facendo da aprile, ed in particolare nell’ultimo mese e mezzo, all’interno del movimento contro il Green Pass a Trieste, sperando possa essere utile per il dibattito.

Si tratta di un percorso che, per quanto ci è noto, ha acquisito una serie di specificità che lo differenziano da alcune altre piazze calde nel resto d’Italia, o che perlomeno lo smarcano da una lettura univoca, soprattutto adottando un punto di vista militante. Dopo i recenti fatti romani, infatti, è ritornata ad imporsi su tutto il movimento contro il lasciapassare verde l’ombra di un’egemonia fascista o comunque la sua interpretazione come un fenomeno piccolo borghese, assimilabile alle piazze dei commercianti per le riaperture, organizzate nell’ultimo anno e mezzo.

Qua a Trieste, invece, abbiamo intravisto e attraversato delle potenzialità nuove, che danno forma ad un movimento per certi versi assimilabile ai gilet jaunes francesi, con una forte connotazione di classe e ben distante dalle derive destrorse che dominano la narrazione mediatica. Non si tratta di negare l’esistenza – in potenza – anche di queste derive, ma al contrario di aprire la complessità di questo movimento, senza ridurla ad un ammasso confuso di pulsioni egoiste, facile preda di gruppi neofascisti e della destra aperturista.

Nascita

Dalla primavera del 2021, e per tutta l’estate, si sono susseguite a Trieste diverse piazze che hanno messo in discussione la “verità sui vaccini” e finanche l’esistenza stessa – o la nocività – del virus Sars-Cov2. Diffuse prevalentemente tramite messaggi nelle chat, queste manifestazioni sono state organizzate, di volta in volta, da gruppi come il Movimento 3v (partito nato per opporsi agli obblighi vaccinali che proprio qua a Trieste ha visto il miglior risultato alle recenti elezioni comunali, guadagnando il 4,5 % dei voti – anche se con affluenza bassissima del 45%), o dall’Associazione Alister, storico presidio locale impegnato nella critica ai vaccini.

Alcune di queste piazze – tuttavia – ci hanno colpito per composizione e discorsi all’opera, anche perché convocate da realtà parzialmente diverse e non completamente sovrapponibili ai due gruppi citati. Per citarne alcune, il No Paura Day Trieste del 2 maggio 2021, le svariate manifestazioni dei sanitari contro l’obbligo vaccinale per gli operatori del settore (svoltesi nei sabati tra aprile e maggio), la piazza sulle cure domiciliari precoci del 19 agosto e, infine, anche se non cronologicamente, le camminate/fiaccolate contro il coprifuoco dell’aprile-maggio 2021, in cui diverse centinaia di persone hanno deciso di sfidare questa misura da stato militare. Si è trattato di momenti in cui abbiamo notato una composizione trasversale, complessivamente una partecipazione molto ampia (nell’ordine delle migliaia di persone: numeri importantissimi, per una città come Trieste), e una serie di ragionamenti (non tutti, ovviamente) estremamente seri e articolati, che certamente non miravano a “buttare in vacca” il discorso sulla pandemia e la sua gestione, tentando, invece, di mettere a fuoco alcune critiche – a nostro dire più che legittime – rispetto al pensiero unico sul Covid ed il vaccino.

Al tempo stesso, abbiamo notato che i partecipanti a queste piazze, in molti casi, anziché essere gli ignoranti novax di cui ci parlavano i giornali, si scoprivano molto inclini alla riflessione critica, ascoltavano gli interventi con grande attenzione: insomma, stavano lì anche per informarsi attraverso canali alternativi, e, con loro, lo stesso facevano anche quelli/e di noi che le frequentavano. Queste manifestazioni hanno ricevuto una censura senza precedenti da parte dei media locali, alimentando un odio verso quest’ultimi altrettanto inedito. Anche nelle giornate in cui le piazze o i cortei di violazione del coprifuoco erano gremiti, il giorno seguente poteva trovarsi a malapena un trafiletto che catalogava come novax i manifestanti; in alcuni casi eclatanti, non vi era neppure quello.

In aggiunta a queste considerazioni, in tutte le occasioni citate non abbiamo mai rilevato la presenza di gruppi organizzati fascisti, che invece ci saremmo aspettati: forse qualche faccia nota, ma di ben poco conto.

Con la fine dell’estate, in virtù dell’attività sempre più intensa di Alister e 3V, le piazze si sono fatte più frequenti, iniziando a focalizzare il tema del green pass che nel frattempo prendeva corpo nelle misure governative.

Gli ultimi eventi

Il 31 agosto 2021 – dopo alcune discussioni con i pochi compagni e compagne dei giri militanti cittadini che avevano frequentato quelle piazze (sempre in forma individuale, e fuori dalle organizzazioni “ufficiali” triestine) e dopo un evento organizzato da un collettivo cittadino sul trinomio scienza/potere/capitalismo – decidiamo di prendere parola.

Organizziamo un presidio in Piazza della Borsa con un volantino semplice, in cui ribadiamo l’opposizione al green pass e all’obbligo vaccinale (opposizione articolata su vari punti, dalla critica alla digitalizzazione e conseguente ristrutturazione capitalistica, alla questione delle classi pollaio nella scuola). Facciamo girare il volantino nelle piazze di cui sopra, sui muri della città e nelle svariate chat Telegram attive su questi temi (Piccolo inciso: ci pare interessante notare come la diffusione di chiamate e piazze avvenga quasi esclusivamente tramite gruppi telegram e whatsapp, in cui notiamo un forte bisogno di controinformazione, a cui, ci rendiamo conto, non siamo in grado di rispondere prontamente. Questione che – vista anche la prolifica quantità di video-interviste, messaggi vocali, contenuti che riempiono questi gruppi, spesso di provenienza ignota e altrettanto spesso con contenuti discutibili – ci chiama in causa direttamente).

Ci presentiamo quindi alla “nostra” manifestazione con una serie di discorsi preparati con cura: dalla gestione della pandemia, la sanità territoriale, la questione delle classi pollaio, la digitalizzazione e la non neutralità della scienza, alle cause dell’estrattivismo e dello sviluppismo capitalista nella diffusione del virus, ed al ricatto lavorativo che sta prendendo corpo con l’introduzione del green pass, con scarico di responsabilità verso il basso operato sistematicamente dai governi, in questo anno e mezzo.

Il presidio riesce bene, ci sono molte delle persone ormai abituate a partecipare a queste iniziative ed alcune nuove, attirate dai manifesti sui muri. Manca, invece, la stragrande maggioranza di quella “sinistra sociale” che di solito si mobilita. A seguito degli interventi preparati, prendono parola anche altre persone, grazie alla scelta del microfono aperto (insegnanti e studenti contro il green pass, un esponente di Alister ed uno di 3v – a patto di non fare comizi); riceviamo molti complimenti per i contenuti portati e le persone presenti manifestano l’intenzione di restare in contatto con noi.

Prima di concludere il presidio, lanciamo dunque un appuntamento per un’assemblea cittadina. All’assemblea si presentano cento persone: la cosa ci spiazza perché a Trieste un numero così importante di presenze si vede raramente in queste occasioni. E’ evidente che nella pancia del corpo sociale si sta muovendo qualcosa di grosso, che i media mainstream irridono e anzi censurano.

Come detto, di manifestazioni, nei mesi precedenti, se ne contano a decine, più o meno grandi, e tutte contribuiscono a creare un terreno, delle intese, delle frequentazioni, anche – se vogliamo – una cultura e dei riferimenti comuni: è la formazione di un popolo fuori dalle realtà abituali, estremamente composito e ricco.

Non è tutto rose e fiori, non è sempre un ambiente congeniale a tutti noi, è spesso estremamente critico verso il vaccino (e anche i pochi compagni/e presenti hanno posizioni diverse, sul tema), riduzionista del virus, altre volte invece sorprende per la maturità delle posizioni che è in grado di esprimere. La domanda di fondo che risuona nelle nostre teste è la seguente: nello spettro dei possibili posizionamenti su su virus e vaccino, perché molto di quello che si discute in questi ambienti dovrebbe essere per forza più distante da noi dal pensiero unico dei media e dalla gestione politica del governo Draghi e della scienza ufficiale?

Le conseguenze di questa domanda non convincono tutti/e, spaccano anche l’ambiente antifascista locale, ed anche noi, a dirla tutta, ci troviamo spesso a disagio in questa posizione. Nonostante ciò, in questi ambienti riconosciamo anche una sinistra diffusa che venendo da noi ci dice semplicemente “grazie”, perché per la prima volta dall’inizio della pandemia percepisce l’apertura di uno spazio in cui esprimersi e incontrarsi. Più di questo, alcuni/e di noi, non sono lì semplicemente per osservare dubbiosamente quanto si sta muovendo, ma hanno – viceversa – molto da dire, hanno critiche e pratiche che vogliono portare in quelle piazze (in alcuni casi, le stesse che avremmo voluto agire nelle piazze del 2020 – le manifestazioni del IoApro – dove però qualunque operazioni ci pareva impossibile: i margini di quelle mobilitazioni erano, infatti, occupati dall’ingombrante presenza fascista e dalla composizione sociale mobilitata attorno alla figura del commerciante).

Le assemblee del nascente comitato No Green Pass Trieste sono partecipatissime, lunghe, estenuanti, e si reggono su un equilibrio fragilissimo. Organizziamo turni di parola, restringiamo il limite di durata degli interventi e cerchiamo di moderare le discussioni per giungere a consensi o a votazioni a maggioranza, promosse esclusivamente per dirimere le questioni pratiche più urgenti. Nel coordinamento riconosciamo anche gruppi un po’ più organizzati, che fanno legittimamente il proprio gioco, pur quasi sempre nel rispetto delle regole imposte (no propaganda elettorale, mantenersi sui punti di critica condivisi). Dei fasci neanche l’ombra.

Nel tempo si svilupperà una certa fiducia fra le/i partecipanti alle assemblee: ad ogni nuovo incontro, benché si aggiungano sempre più persone, migliora la capacità di tutte/i di stare in questo ambiente ed ognuno/a si sente realmente portavoce di questo movimento. Ci stupisce molto, infatti, quanto ogni impegno pratico (preparare, stampare, attaccare, distribuire i volantini, tradurli in sloveno, diffonderli nelle chat) sia onere realmente distribuito su tutte/i, portando ad una grande diffusione delle iniziative.

Il coordinamento decide dunque di lanciare un corteo per lunedì 13 settembre. Il volantino è preparato da alcune persone del coordinamento: è fatto in word, la grafica è “da parrocchia”. Ma non è questo il punto: sono i contenuti che passano, importa poco se con la grafica fighetta o meno. Centrale campeggia la scritta “Insieme vaccinati e non vaccinati” e subito sotto i pochi punti che il coordinamento sceglie come comune denominatore: il rifiuto del green pass, l’opposizione all’obbligo vaccinale, la denuncia del ricatto lavorativo, l’affermazione del diritto allo studio, la promozione delle cure domiciliari. Sul retro, alcuni contenuti ulteriori: il rifiuto di una digitalizzazione discriminatoria, il no alle limitazioni insensate della vita sociale e culturale, la centralità della democrazia e della costituzione. La costituzione italiana, per molte/i partecipanti al coordinamento, è – infatti – un capo saldo imprescindibile, nonostante i tentativi di alcune/i compagne/i di metterne in luce la sua natura contraddittoria.

Sono punti, quelli riportati nel volantino, molto complessi, ma che sintetizzano al meglio i ragionamenti complessivi nati in seno al coordinamento no green pass, nella sua varietà di posizionamenti. Vi è, inoltre, una contrarietà chiave condivisa, quella alle discriminazioni, che permetterà di uscire da alcune empasse nelle discussioni, mai risolte del tutto, riguardo ai fascisti.

Il 13 settembre, dopo qualche intervento veloce, si muovono in corteo circa 1500 persone: la parola d’ordine è ormai NO al GREEN PASS.

A questa manifestazione, ne segue un’altra, il 20 settembre, rilanciata dalla stessa piazza e poi elaborata in assemblea. Qua avviene qualcosa di nuovo: il salto di qualità. Dopo la rottura del ghiaccio operata dal primo corteo, si presentano in piazza migliaia di persone: c’è di tutto, riconosciamo pezzi di indipendentismo triestino, sinistra diffusa, commercianti, operai, volti noti dell’estrema destra e della curva dello stadio, insieme a tutte quelle persone che si erano mobilitate nei mesi precedenti.

La piazza, precedentemente appiattita sulle tematiche inerenti al vaccino, si apre ad un composizione che la fa diventare di massa. E’ un corteo popolare in cui stiamo relativamente a nostro agio, nonostante movimenti e presenze estremamente rischiose. A stretto giro, il coordinamento – che intravede una gran voglia di mobilitazione – lancia una nuova manifestazione. Cambia la giornata (non più il lunedì) e l’orario (non più la sera): sabato 25 settembre si mette, così, in marcia un nuovo, enorme, corteo. Per la prima volta, se ne accorgono anche i media, costretti a raccontare di manifestazioni partecipate da una fiumana di gente, come non se ne vedevano da tempo in città (fino al lunedì precedente, nonostante il corteo avesse mobilitato almeno 8 mila persone, i giornali parlavano, infatti, di piccole iniziative, partecipate da qualche centinaio di novax).

Con questa osservazione, si apre la questione del rapporto del movimento con i media. Tra gli obiettivi che da subito vengono individuati dalle manifestazioni, ci sono, infatti, le sedi della Rai e del giornale locale Il Piccolo. Le tensioni maggiori, durante i cortei, si concentrano lì: è un movimento che non sopporta l’informazione tradizionale, la sua protervia, il suo schiacciamento sulle posizioni governative. Ma soprattutto, è un movimento che non sopporta la censura dei media e le etichette, che, per i dissidenti della versione egemonica sul Covid, sono diventate due nemiche profonde. E’ un elemento centrale che probabilmente la “nostra” area ha sottovalutato e poi abbandonato in tempi recenti: non eravamo noi a fare controinformazione?

Il venerdì successivo, primo di ottobre, si è ormai a ridosso delle elezioni comunali, che si tengono lo stesso weekend. Il rischio di strumentalizzazioni è altissimo, diversi candidati si buttano nella folla alla ricerca di qualche voto. Eppure, di nuovo, si svolge un enorme corteo senza bandiere, che nessuno è capace di intestarsi. Anche perché in questa occasione, dopo le partecipazioni più morbide delle precedenti occasioni, intervengono in massa i portuali, spinti in particolare dal CLPT, il sindacato autonomo del porto internazionale di Trieste. Il CLPT aveva già iniziato a partecipare alle assemblee del coordinamento, rilanciando il bisogno ormai cresciuto in tutte/i di passare ad una fase successiva: fermare l’economia per essere ascoltate/i. Indicono quindi un’assemblea di portuali in cui capeggia il “se non può entrare in porto anche solo uno di noi perché sprovvisto di green pass, allora non entra nessuno”. All’assemblea vi partecipano anche persone attive nel coordinamento, e ci sono delle prese di posizione (anche se in quella sede non esplicitate in questi termini) di chiara solidarietà. Quando ai portuali viene domandato fuori dai denti se, qualora gli fossero stati concessi i tamponi gratuiti dall’autorità portuale, sarebbero rimasti comunque a fianco di tutti gli altri lavoratori e lavoratrici la risposta è chiara: “i portuali sono una categoria solidale, se il 15 non è stato abolito il green pass, il porto si blocca”.

E’ un’espressione di solidarietà di classe, per noi è chiaro. Viene messo agli atti dell’assemblea, poi resi pubblici sui media, ed inizia quindi una sinergia tra il coordinamento no green pass ed i portuali, che vede nella proclamazione di una seconda assemblea sindacale nelle ore del corteo (in modo da potersi astenere dal lavoro) il primo momento concreto.

La loro presenza si fa visibile, formano uno spezzone grosso, incazzato, con fumogeni e cori da stadio. E’ una presenza enorme e ingombrante allo stesso tempo, ma contribuisce ancor di più ad articolare la composizione del movimento su una dimensione di classe. E’ il lavoro vivo contro il governo. Le parole d’ordine, già da un po’, sono “giù le mani dal lavoro”, “sciopero generale”, no al ricatto lavorativo, insieme al sempre più vibrante No Green Pass. La data successiva è dunque quello dello sciopero generale indetto dai sindacati di base dell’11 ottobre. Nel mentre prendono forma altri gruppi di lavoratori di varie aziende ed industrie, ci incontriamo, facciamo assemblee e manteniamo fisso l’orizzonte dello sciopero e del 15 ottobre, tutti assieme, al porto. Gli stessi sindacati di base, pur se su posizioni ancora distanti dal coordinamento e più in generale dal movimento di massa triestino, sono costretti a interloquire, anche se il rapporto risulta complicato e diverse persone del coordinamento si sentono trattate con un paternalismo poco fondato. Si decide di non calpestarsi i piedi e indire due cortei separati, nel rispetto delle reciproche istanze, ma la contaminazione reciproca è evidente. Il corteo del mattino, indetto dai sindacati di base, conta un migliaio di partecipanti, sui temi dell’opposizione al governo Draghi e alle sue politiche confindustriali, lasciando emergere anche l’istanza contro il green pass. Il corteo del pomeriggio, del popolo contrario al lasciapassare verde, è di nuovo enorme, se possibile ancora più grande dei precedenti: le stime parlano di 20 mila persone, con la presenza visibile delle categorie lavorative auto-organizzate nell’opposizione al green pass: insegnanti, genitori e studenti, autisti, ferrovieri, tassisti, operai della Wartsila, della Flex, della Fincantieri, della Illy (per citare solo le aziende e le fabbriche più grandi della città).

Quasi tutte lamentano l’assenza, se non la contrarietà, dei sindacati nella tutela dei lavoratori sotto il ricatto del green pass. Insieme a loro, i portuali, ormai sempre più dominanti nel quadro complessivo. Qui per la prima volta, probabilmente galvanizzati dal precedente romano del 9 ottobre, i gruppuscoli fascisti provano a mischiarsi concretamente negli spezzoni più caldi del corteo. Si registrano all’interno del corteo anche alcune incomprensioni sul messaggio politico, mai cambiato dal coordinamento contro il green pass e che tuttavia incontra anche delle polemiche. Non che in precedenza non fossero accadute delle tensioni: basti pensare al primo corteo di massa, quando la testa del corteo è entrata nella conclusiva Piazza Unità al grido di “No fascismo, No Green Pass”, in seguito ad alcuni movimenti sospetti di alcuni volti noti alla testa del corteo. Il coro, in quell’occasione, era stato ripreso spontaneamente da una parte del corteo, perché in modo naturale la misura del lasciapassare verde era stata accostata al fascismo storico e all’autoritarismo del governo. Ma è anche vero che nel corteo dell’11 ottobre, un gruppo sotto la prefettura di Trieste ha intonato l’Inno di Mameli sotto tre fumogeni tricolori, sintomo evidente di una presenza organizzata di gruppi anche fascisti, con l’immancabile sceneggiata del reparto antisommossa che si toglie il casco seguito dagli applausi dei più scalmanati, che fino ad un attimo prima insultavano la polizia a difesa del potere (tutti momenti simbolici assai cari alla destra nostrana).

Queste sono alcune delle contraddizioni che si aprono con la generalizzazione del conflitto intorno al green pass, che inevitabilmente inciampa anche sulla presenza di una cultura di destra che negli anni si è ramificata nel corpo sociale. Non la si può negare, ma contestualizzare sì, soprattutto all’interno della complessa stratificazione del movimento contro il green pass triestino e dei cortei oceanici dove, di quell’episodio, si sono accorti pochissimi partecipanti ma moltissime telecamere. Si trattava infatti del momento in cui le delegazioni di rappresentanti dei lavoratori e del coordinamento scendevano dall’incontro in prefettura, richiesto dai portuali per comunicare ufficialmente la contrarietà totale al green pass.

La composizione e le potenzialità

Una cosa che salta all’occhio nei cortei triestini è la totale assenza di bandiere tricolori, immancabile simbolo a marcare il territorio dei settori della destra locale, soprattutto in una città come Trieste. Da subito, una delle indicazioni elaborate nel coordinamento è stata quella di non avere alcuna bandiera, tuttavia la facilità nel far rispettare questa norma è anche il sintomo del poco radicamento dei gruppi fascisti all’interno del movimento. È dunque anche una delle misure con cui valutiamo il tipo di generalizzazione che si è verificata nella lotta al green pass nella città di Trieste. Si è composto un popolo non per forza orientato a destra, ma profondamente legato alla dimensione del lavoro ed in forte opposizione al governo del banchiere draghi (“Caro Draghi, la ricchezza sociale la fanno i lavoratori in questo paese” si sente spesso ripetere dall’impianto in testa), il tutto unito ad una diffusa critica all’informazione di potere (anche sul vaccino, innegabile), all’autoritarismo, e quindi, più in generale, estremamente critico alle valutazioni politico-sanitarie del potere costituito. E’ evidente che, se la sua parola d’ordine è l’opposizione radicale al green pass come strumento vessatorio, non sanitario e illegittimo, si tratta di un movimento che si alimenta a partire da diverse linee culturali: la critica al vaccino sperimentale, lo smascheramento di un qualche complotto pandemico, la sfiducia nelle istituzioni, la confusione della campagna vaccinale e dell’introduzione del lasciapassare verde, un malcontento sociale generalizzato, come anche – cosa ampiamente ribadita – la questione del ricatto lavorativo.

Noi pensiamo che cosa e come prevale non sia una questione decisa in anticipo, come vorrebbe una certa sinistra barricata in casa dalla paura del popolo là fuori, ma da chi e cosa interviene al suo interno. Il movimento contro il green pass, nella sua complessità e ampiezza, è un campo aperto di forze, un’energia nuova, non certo un corpo omogeneo, ed è forse proprio questo uno dei motivi del nostro coinvolgimento appassionato nell’ultimo mese e mezzo.

Di questo movimento, possiamo dunque tracciarne per ora un’evoluzione, che ci permetta di intravederne i possibili sviluppi. Se era parso fin dall’inizio che il popolo di cui si alimentava era di estrazione trasversale, qualcosa è sicuramente accaduto nella sua composizione sociale. Negli ultimi cortei, in vista soprattutto della scadenza del 15 ottobre (che generalizza le categorie lavorative obbligate a esibire il lasciapassare per poter lavorare) la presenza dei lavoratori e delle lavoratrici ha assunto sempre più rilevanza, se non in termini quantitativi, sicuramente in termini politici, nel messaggio che esprime e nelle modalità con cui prende corpo. L’intervento dei portuali, come si diceva, ha sicuramente aiutato in questo processo, ma non è il solo elemento. Proprio mentre i lavoratori portuali iniziavano a mobilitarsi, infatti, lo stesso accadeva in modo auto-organizzato tra gruppi di lavoratori nelle proprie aziende.

È qualcosa che a noi sembra molto rilevante, e pensiamo che il contributo dato attraverso il coordinamento sia stato anche quello di creare una piattaforma comune, di piazza, dove esprimersi, riconoscersi, organizzarsi e non soccombere isolati e schiacciati. Verso il blocco del porto? La promessa è stata fatta, ormai pubblicamente e più volte. Da Trieste cerchiamo di essere pronti, la percezione (e la responsabilità) qui, probabilmente falsata rispetto alla scala nazionale, è quella di essere a pochi metri dal traguardo. Ci immaginiamo in tante/i ai varchi del porto, ad oltranza, fino all’abolizione del green pass, in un momento di conflitto generalizzato.

Su questo vorremmo sottolineare due punti:

  • Accorreranno in molti quel giorno, anche da fuori città, il rischio che arrivi qualcuno a metterci il cappello come hanno fatto a Roma esiste ed è contrastabile anche con una presenza opposta, nella prospettiva che sia un momento realmente popolare grazie all’intelligenza di chi vorrà
  • Sappiamo che una vittoria o ulteriori sviluppi di questo movimento sociale potranno avvenire solo con una resistenza e una presenza diffusa, e non solo nella città.
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