“Prima la mente, adesso il braccio”

“Prima la mente, adesso il braccio”, Centri di Permanenza per il Rimpatrio e la costruzione del ricatto.

“Prima la mente, adesso il braccio”, Centri di Permanenza per il Rimpatrio e la costruzione del ricatto.

Mentre La campagna “Mai più lager” inizia a muovere primi passi, sono Tante le voci che si stanno alzando contro le politiche fortemente razziste e discriminatorie portate avanti da questo e dai precedenti governi. Tuttavia, per combattere contro qualcosa, quel qualcosa devi conoscerlo. O meglio, riconoscerlo.
In un processo di lotta l’individuazione del nemico è il primo passo da compiere e, se l’attuale governo con Salvini in testa gioca la sua legittimità e la sua retorica su suprematismo e razzismo e sull’ immagine di discontinuità rispetto ai governi precedenti cercando di capitalizzarle, non ne è il primo Fautore.

Le azioni portate avanti dall’attuale ministro dell’interno si pongono, infatti, in una linea di naturale successione e continuità con quelle che sono state le decisioni prese dagli scorsi governi, in particolar modo dal governo Gentiloni e del suo ex ministro degli interni Marco Minniti.

Cerchiamo qui di delinearne un percorso:

Analizzando le politiche poste in essere dal Partito Democratico infatti, risulta più che evidente come il percorso intrapreso da Salvini abbia l’obiettivo di perfezionare quanto studiato e architettato in precedenza.

Prima la mente, adesso il braccio. Prima l’idea e il progetto, adesso la sua attuazione.

Se si analizzano i punti cardine del piano Minniti, infatti, risulta ben evidente come il decreto immigrazione e sicurezza firmato da Salvini ne sia la naturale conseguenza. Rimane, in primo luogo, la visione del fenomeno dell’immigrazione come “un problema da risolvere”, soprattutto in termini economici e securitari. In secondo luogo è altrettanto evidente il processo di criminalizzazione dell’immigrato: se scegli un bersaglio da colpire lo devi mettere in una condizione di irregolarità, devi fare in modo di avere tra le mani quanti più elementi possibili per giustificare la tua azione di repressione. Allora questi elementi li studi e li prepari ad arte (così come fatto da Minniti) in attesa che qualcuno possa metterli in pratica (così come sta facendo Salvini). L’ultimo risulterà il male assoluto, tu te la cavi passando come il “meno peggio”, utilizzando il tempo di una tornata elettorale per tornare vergine. Ma la questione, in realtà,  è ben diversa.

Linea dura sui rimpatri forzati, estensione della detenzione amministrativa, riduzione dei tempi delle procedure d’asilo, lavoro non retribuito per i richiedenti asilo: non sono le linee guida del decreto Salvini, ma i punti principali del decreto Minniti.

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L’attuale ministro dell’interno è semplicemente andato a perfezionare determinati aspetti di un piano politico che ha visto la luce tra le mani di Minniti lo scorso anno. Come detto prima, se il tuo bersaglio non è un criminale lo devi criminalizzare. E come?

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In primo luogo vai ad accorciare i tempi delle procedure d’asilo riducendo le garanzie in sede giurisdizionale con l’eliminazione del grado di appello per chi ha ricevuto un diniego dell’asilo in primo grado. Al contempo, estendi il sistema della detenzione amministrativa per gli immigrati tramite l’apertura dei CPR, Centri di permanenza per il rimpatrio, quadruplicandone la capienza (da 400 a 1600) e aumentandone il numero (da quattro a venti centri, uno per ogni regione). Non è stato Salvini a dettare queste regole, ma Marco Minniti, ex ministro dell’interno ed esponente del Partito Democratico. minnitisalviniSalvini ha solo ridefinito alcuni aspetti: ha raddoppiato i tempi per il trattenimento nei centri per il rimpatrio (da un massimo di 90 giorni a 180 giorni), ha abrogato la concessione dei permessi di soggiorno per motivi umanitari sostituendoli con permessi per meriti civili o per cure mediche o se il Paese di origine vive una calamità naturale, ha esteso la lista dei reati che comportano la revoca dello status di rifugiato (violenza sessuale, produzione, detenzione e traffico di sostanze stupefacenti, rapina ed estorsione, furto, furto in appartamento, minaccia o violenza a pubblico ufficiale). Quest’ultimo reato, inoltre, è la chiave di lettura per analizzare un altro importante fenomeno, ovvero la repressione nei confronti di tutti quei lavoratori stranieri che in questi anni si sono mobilitati davanti le proprie fabbriche. Con l’estensione dei reati che comportano la revoca del permesso di soggiorno, sono proprio questi lavoratori a correre i rischi più alti. Tuttavia, pare essere proprio il decreto Salvini a confermare quanto queste lotte siano non solo utili e necessarie, ma anche pericolose per il sistema vigente, un sistema che vorrebbe i lavoratori zitti e ben piantati sui propri posti di lavoro, senza fomentare e mettere in atto lotte che possono, appunto, scardinare il sistema attuale.

Se osi alzare la testa corri il rischio di essere mandato via: il permesso di soggiorno diviene l’arma di ricatto. Ma, al contempo, è proprio attraverso tale ricatto che diviene evidente tutto il potenziale di queste lotte e la loro capacità  di spostare l’ago della bilancia e sbilanciare i rapporti di forza. Perché, e in questo ragionamento ritornano tutti i limiti della miope reazione sociale alle evidenti  politiche discriminatorie degli ultimi anni, il migrante buono, accettabile e degno della nostra accoglienza è il migrante che rimane chiuso all’interno di una figura di vittima, di “povero cristo che ha passato le pene dell’inferno per arrivare qui da noi”. Da noi, occidentali, evoluti e benevoli, disposti ad accogliere a braccia aperte questa povera gente.

Ma questa gente deve rimanere “povera gente”, senza alcuna pretesa e senza alcuna rivendicazione. Altrimenti quelle braccia si chiudono a morsa, pronte a stritolare e mettere a tacere chi osa alzare la voce. Ed è proprio dietro questo atteggiamento paternalistico, che ha fatto della solidarietà e dell’umanità i propri cavalli di battaglia, che si cela l’idea di supremaziadell’italiano sull’immigrato. La soluzione proposta rimane quella dell’integrazione, che non presuppone un uguale movimento tra le due parti (italiani e stranieri) ma uno sforzo maggiore da parte dei secondi che devono avvicinarsi quanto più possibile ai primi. Quindi tu (povero cristo) arrivi da me (benevolo e caritatevole). Io ti accolgo, ma sei tu che arrivi e sei tu che devi muoverti verso di me, verso le mie regole, il mio modo di pensare, il mio modo di concepire il mondo. In questa concezione io rimango accogliente, tu rimani vittima. Se osi rompere questa gabbia, autodeterminarti, uscire appunto dalla condizione di vittima, allora puoi pure farti da parte. Io ti ritiro il permesso di soggiorno, non ti faccio lavorare, ti chiudo dentro un CPR e, se mi riesce, ti rimando pure nel tuo paese d’origine.

Di questo sistema, che ha provocato solo danni alle donne e agli uomini arrivati nel nostro paese, si sono resi complici e artefici numerose realtà : le cooperative che sequestrano i documenti ai giovani migranti senza dar loro alcuno strumento per crearsi una propria strada. “No, non sei pronto ancora. Studia un altro po‘”. Però di corsi di italiano o altro, manco l’ombra. O ancora tutti quei comuni che mettono al collo di questi ragazzi delle pettorine e li portano a pulire i parchi. “Guardate gente, si stanno integrando. Puliscono dove noi abbiamo sporcato“. Il tutto, ovvio, a gratis perché è “un servizio per la comunità“. Non a caso “i lavori di pubblica utilità, finanziati con fondi europei” sono riconducibili al decreto Minniti il quale, ai tempi,  precisò che “non si creerà una duplicazione nei mercati del lavoro, perché non sarà un lavoro retribuito”.

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Questo stridente e fastidioso buonismo è ritornato in relazione alla notizia dell’arresto del sindaco di Riace Mimmo Lucano. L’idea che Lucano sia stato arrestato perché colpevole di “reato di solidarietà” è quanto più si allontana da ciò che realmente Lucano ha posto in essere in questi anni. Lucano ha infatti gettato le basi, e le ha convalidate, per un nuovo sistema che pone al centro la donna e l’uomo, con le sue capacità e le sue ambizioni, affinché possano essi emanciparsi, dire la loro, autodeterminarsi. Non è stato arrestato solo Lucano, ma una gestione dell’immigrazione non funzionale al sistema vigente.

Lottare contro i CPR significa riconoscere prima  e rinnegare poi una visione politica, sociale, economica che vede l’immigrato in una posizione subalterna.

Significa affiancare i lavoratori davanti le fabbriche, spogliarsi di quella maglietta rossa, ridando un senso alla parola solidarietà.

Significa, inoltre, avere la lucidità mentale di puntare il dito contro il vero artefice di tale sistema.

Troppo semplice individuarlo in Salvini. Un po’ più complicato farlo con il Partito Democratico. Che quelle magliette rosse le ha indossate, che quelle pettorine le ha messe al collo dei giovani migranti per ripulire i parchi. Lasciando al contempo carta  bianca a Minniti, introducendo nelle città i gruppi del controllo del vicinato, parlando sempre e solo di sicurezza, utilizzando il daspo urbano.

Non è dunque un caso che il progetto di costruire un CPR venga portato avanti a Modena, la cui gestione politica ben si sovrappone a questa logica.

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